Guerra contro gli Americani
 
Francesi e Americani erano certi che se si fossero svolte le elezioni generali previste dagli Accordi di pace di Ginevra, il Viet Minh avrebbe sicuramente vinto e il paese sarebbe stato unificato sotto la guida di Ho Chi Minh. Per questo motivo le elezioni non ebbero mai luogo. Le due parti del Viet Nam dovevano costruire il loro futuro in modo autonomo. Nel Nord, il Partito dei Lavoratori si poneva come utopistico obiettivo "dopo avere realizzato la rivoluzione nazionale e democratica, passare direttamente all'edificazione del socialismo, bruciando la tappa dello sviluppo capitalistico". Questo significava risanare prima le ferite lasciate dalla guerra poi attuare una radicale riforma agraria e quindi dotare l'economia nazionale di una base industriale. Nel Sud si poneva invece come prioritario il problema di colmare il vuoto lasciato dalla partenza dei Francesi e trovare un assetto politico stabile. L'imperatore Bao-dai affidò l'incarico di Primo ministro a Ngo Dinh Diem, un personaggio dalle molte sfaccettature la cui personalità era marcata da un radicale anticolonialismo, un intransigente cattolicesimo militante e un feroce anticomunismo. Alla formazione di queste sue posizioni sicuramente non erano estranei i quattro anni trascorsi negli Stati Uniti, dal 1950 al 1954, quando si era legato agli ambienti del cardinale Spellmann e dei senatori democratici Mansfied e Kennedy. Nel giugno 1955 Bao-dai, ormai inutile e ingombrante, fu deposto e nell'aprile 1956 gli ultimi soldati francesi abbandonarono l'Indocina lasciando così Diem padrone della situazione ma sotto una pesante tutela americana, in quanto il trattato costitutivo della alleanza militare della SEATO, costituita nel settembre 1954 da Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Australia, Pakistan, Thailandia e Filippine, conteneva un protocollo che consentiva interventi militari in Indocina. Il potere di Diem all'interno del Paese poggiava soprattutto sull'appoggio della forte minoranza cattolica, che gli veniva garantito dal fratello Thuc arcivescovo di Huè, e sul sostegno del partito Can Lao guidato da un altro suo fratello, Nhu. La congiuntura economica favorevole e gli aiuti americani permisero una rapida modernizzazione dell'economia del Paese. Superate le antiquate strutture del periodo coloniale, restava da risolvere il problema del controllo dello Stato sulla vita politica interna. Come prima cosa Diem ricorse alla forza per eliminare i previlegi che avevano acquisito al servizio della Francia nella lotta contro il Viet Minh certi gruppi paramilitari e alcune sette religiose come i Caodaisti e gli Hoa-Hao, che armavano dei propri eserciti autonomi e che erano autentici Stati all'interno dello Stato. La famiglia di Diem monopolizzava il potere ed era sostenuta dai grandi proprietari terrieri delle regioni del delta del Mekong, ma nelle campagne stava già organizzandosi un’opposizione clandestina, composta da elementi provenienti da diversi strati sociali e di differenti orientamenti politici: quelli che lo stesso Diem battezzò vietcong, cioè “vietnamita comunista”. Anche se molti di loro non erano comunisti. Una brutale deportazione di popolazioni in aree "non infette" e un’indiscriminata repressione provocò come reazione l'avvicinamento della gente delle campagne ai Vietcong che qui trovarono le loro basi per condurre azioni di guerriglia contro il governo Diem e contro i primi consiglieri militari americani, presenti a partire già dal 1956. Questa miopia politica di Diem cominciò suscitare dubbi e perplessità negli Stati Uniti che costatavano come il nepotismo e la corruzione del governo sud-vietnamita avesse fatto sorgere una forte e articolata opposizione anche di intellettuali, del clero buddhista e degli stessi militari, che nel novembre 1960 tentarono anche un colpo di stato a stento soffocato. L’opposizione a Diem si coagulò intorno ai Vietcong, o per meglio dire il Fronte Nazionale di Liberazione che si era costituito nel 1960 e sostanzialmente riproponeva il vecchio schema del Viet Minh di una alleanza comprendente forze di diversa estrazione ideologica ma fra le quali i comunisti erano egemoni. Diem stesso era il loro migliore ufficiale reclutatore, convogliando su di essi le simpatie di tutti gli oppositori, anche non comunisti, al suo corrotto regime. Il Presidente Kennedy reagì al fallimento politico “mostrando i muscoli” e portò la presenza dei "consiglieri" militari americani a 16.300 unità, anticipando così il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra. Nel 1963 esplose la protesta dei buddhisti, provocata dal divieto posto dall'arcivescovo di Huè, Ngo Dinh Thuc, ai rituali festeggiamenti del giorno anniversario della nascita del Buddha. Il divieto fu ignorato da migliaia di fedeli: la cerimonia degenerò in un bagno di sangue e i paracadutisti saccheggiarono le pagode. Qualche giorno più tardi il bonzo Thich Than Dong si immolò con il fuoco davanti agli obiettivi di reporter di tutto il mondo; altri bonzi lo imitarono. Ormai il credito di Diem era inesistente e gli Stati Uniti sospesero ogni aiuto e ogni assistenza che non fosse specificatamente volta alla lotta contro l'infiltrazione comunista. Bisognava liberarsi dell’ingombrante e ormai inutile personaggio. Il1 novembre 1963, alcune unità dell'esercito attaccarono il palazzo presidenziale. Diem e suo fratello Nhu fuggirono ma furono catturati il giorno successivo e uccisi. Gli Stati Uniti ripresero il loro programma di aiuti, che ormai ammontava a più di 400 milioni di dollari annui, ma intanto lo stato di agitazione e le azioni di guerriglia, anche urbana, condotte dai Vietcong scuotevano tutto il Paese. Nel giugno 1965 salirono al potere Nguyen Van Thieu e Nguyen Kao Ky, comandante dell'aviazione, che si presentarono con un programma di guerra decisa contro il Nord-Vietnam, colpevole di infiltrare le forze clandestine che destabilizzavano il Sud. In questo modo si cercava di canalizzare il generale scontento nella lotta per la difesa della Nazione da un’aggressione esterna. Agli inizi di agosto partirono i primi raid dell'aviazione americana oltre la linea del 17° parallelo contro quello che ormai era diventato il nemico dichiarato: il Vietnam del Nord che già da tempo era nel mirino degli Stati Uniti. Si può dire che gli Americani avevano dichiarato guerra a Vietnam di Ho Chi Minh già il 20 agosto 1954, quando una direttiva del Consiglio nazionale per la sicurezza, approvata dal presidente Eisenhower, affermava: "I successi comunisti in Indocina il cui punto culminante è l'accordo di Ginevra hanno creato delle importanti conseguenze che compromettono la sicurezza degli Stati Uniti. I comunisti hanno ottenuto in Viet Nam una testa di ponte che consente loro di esercitare delle pressioni militari e non militari su delle zone non comuniste limitrofe o non limitrofe". Sul piano diplomatico il Vietnam del Nord aveva reagito schierandosi nel movimento dei non-allineati e fu, con la Cina, il solo paese comunista a essere invitato nel 1955 alla Conferenza di Bandung i cui principi di terzomondismo e di neutralità erano condensati nello slogan "né Est, né Ovest". In realtà il Vietnam del Nord stava ricostruendo le sue basi economiche dopo il periodo coloniale grazie soprattutto agli aiuti e prestiti ricevuti dai paesi del blocco comunista: dal 1955 al 1961 ricevette complessivamente 365 milioni di dollari dall'Unione Sovietica e 662 milioni dalla Cina. Con l'entrata in guerra degli Stati Uniti questi aiuti andarono aumentando, principalmente da parte dei Sovietici e furono sempre più volti al potenziamento dell'apparato bellico. Sull'altro versante gli Stati Uniti dovevano uscire dalle ambiguità della posizione tenuta per tutto il decennio 1954-1964 durante il quale attuarono una politica di "contenimento" della infiltrazione comunista che li costringeva a impiegare notevoli risorse umane e finanziare senza pur tuttavia ottenere sensibili risultati. Oltre agli aiuti forniti all'esercito del Sud furono armati e addestrati anche 30.000 uomini delle minorità etniche degli altipiani a nord di Saigon. Il generale Taylor organizzò delle unità speciali nel delta del Mekong per dare "assistenza" alla popolazione, cioè per concentrare i contadini in 7.000 villaggi fortificati chiamati "presidi strategici", ma la guerra contro i Vietcong continuavano a perderla, come scriveva un corrispondente di Le Monde il 28 maggio 1964: "Venti mila Americani e duecentomila Vietnamiti tengono le città e controllano, ma solamente di giorno, i grandi assi stradali. Tutte le notti, la circolazione è interrotta tra i presidi strategici che sono scaglionati lungo le strade e dove il governo di Saigon ha raggruppato di forza i contadini per sottrarli all’iniziativa dei Vietcong. Nel Delta la situazione è ancora più seria". Prima il presidente Kennedy, poi il suo successore Johnson, avevano voluto evitare un impegno diretto delle truppe americane a fianco dei Sud-Vietnamiti ma, nel 1964, diventò inevitabile un cambio di strategia e un coinvolgimento nel conflitto dell'esercito degli Stati Uniti, non ostante molti specialisti, primo fra i quali il futuro direttore della CIA William Colby, avessero messo in guardia l'amministrazione americana contro i rischi di un tale impegno votato, forse, al fallimento. Gli indugi comunque si ruppero a seguito dal cosiddetto "incidente del Golfo del Tonchino" dove il 2 e 4 agosto 1964 alcune motovedette nord-vietnamite aprirono il fuoco contro navi americane che incrociavano nella zona e in particolare contro il cacciatorpediniere "Maddox". La verità è ancora oggi avvolta nell'ombra, resta il fatto che il presidente Johnson fece votare dal Congresso una risoluzione che lo autorizzava a "utilizzare tutti i mezzi necessari per rispondere alle aggressioni nord-vietnamite". La prima operazione, che portava il nome di "Rolling Thunder", fu il bombardamento di obiettivi militari e industriali a nord del 17° parallelo allo scopo, dichiarato, di costringere il Vietnam del Nord a cessare le sue attività sovversive nel Sud e distruggere nel contempo le retrovie della guerriglia. In realtà, come risultò da documenti degli archivi del Pentagono pubblicati nel 1971 dal New York Times, i bombardamenti contro il Nord erano già iniziati nel mese di febbraio, sei mesi prima del "incidente" nel mare del Tonchino. La spirale della guerra era avviata e non erano più sufficienti i soli 20.000 "consiglieri" militari: nel marzo 1965 sbarcarono a Danang i primi contingenti delle forze di combattimento di terra che andarono aumentando di mese in mese per arrivare a quasi 200.000 unità alla fine dell'anno per poi raddoppiarsi nel successivo 1966. Questo massiccio dispiego di forze e l'incontrastata superiorità aerea non servirono a intaccare la forza e incisività delle azioni dei Vietcong che potevano avvalersi di un largo appoggio da parte delle popolazioni delle campagne ed erano sostenuti dai costanti rifornimenti di armi e munizioni che scendevano dal Nord lungo la cosiddetta "Pista di Ho Chi Minh" che correva sulla Catena annamitica in territorio laotiano e sboccava in Cambogia, in territorio neutrale ma immediatamente alle spalle delle province del Delta. Anche le spettacolari azioni delle truppe aerotrasportate e degli elicotteri per individuare, accerchiare e distruggere le unità dei Vietcong o quelle nord-vietnamite non intimorirono un nemico che sapeva sfuggire eclissandosi anche nel sottosuolo dove erano state costruite autentiche cittadelle collegate da gallerie che, come a Cu-chi nel Delta, avevano un’estensione di più di 200 chilometri. Nel 1967 gli effettivi americani impiegati in Viet Nam avevano raggiunto quasi il mezzo milione di uomini e i bombardamenti sul Nord continuavano con distruttiva regolarità, ma le speranze di vittoria continuavano a essere molto lontane per l'amministrazione americana che improvvisamente si trovò anche a dovere fare fronte a un nemico che aveva repentinamente cambiato strategia. Agli inizi del 1968, in occasione della festa di capodanno del Tet, memori forse dello stratagemma già utilizzato nel 1789 da Quang-trung contro l'esercito manciù asserragliato in Hanoi, i Vietcong appoggiati da unità regolari nord-vietnamite, approfittando del generale rilassamento provocato dalle festività, si infiltrarono in tutto il territorio del Sud e penetrarono in Saigon, in Huè e in una sessantina di altri centri minori attaccando, nella notte del 29 gennaio 1968, le postazioni americane e sud-vietnamite, gli aeroporti, i depositi di carburante. Superato lo choc della sorpresa, Americani e Sud-vietnamiti seppero organizzare una efficace risposta respingendo tutti gli attacchi e infliggendo anche pesanti perdite a Vietcong e Nord-vietnamiti. L'impatto psicologico fu però enorme tanto da indurre il presidente Johnson e il segretario di Stato alla Difesa Robert McNamara a rivedere la loro linea di intervento e a inaugurare una strategia di "pacificazione". Sul piano politico Johnson dichiarò il 31 marzo 1968 che lui non si sarebbe ripresentato alle elezioni presidenziali previste per quello stesso anno, che i bombardamenti sarebbero stati limitati ad alcune zone del Nord escludendo gli obiettivi civili e, infine, che Washington accettava di avviare delle discussioni preliminari con il governo della Repubblica democratica del Vietnam. Hanoi accettò immediatamente questa proposta e nel mese di maggio iniziarono a Parigi gli incontri che sarebbero durati sino al 1973. Sul terreno, la "pacificazione" non mirava a una riconquista politica delle campagne, ormai lasciate ai Vietcong che avevano anche costituito il loro organismo di rappresentanza formando il Governo Rivoluzionario Provvisorio che venne anche riconosciuto dai Paesi del blocco comunista. Gli Americani puntavano a una ricostruzione materiale nelle campagne devastate da anni di combattimenti e bombardamenti e all'armamento della popolazione rurale per l'autodifesa. Il risultato pratico fu che buona parte del mezzo milione di armi distribuito ai contadini fra il 1969 e il 1971 finì nelle mani dei Vietcong. Forse una maggiore, anche se limitata, efficacia ebbe l'operazione "Phoenix" lanciata dalla CIA contestualmente al programma di "autodifesa". Lo scopo era quello di individuare le strutture vietcong clandestine, identificarne i componenti, smantellarle o isolarle dalla popolazione. Nei fatti, poi, si risolse nella eliminazione fisica di molti militanti comunisti, di membri del Fronte Nazionale di Liberazione e del Governo Rivoluzionario Provvisorio o di supposti tali. Il 1969 fu per i Vietnamiti l'anno segnato dal grande lutto per la morte il 2 settembre di Ho Chi Minh; per gli Americani invece  prese corpo e iniziò a concretizzarsi la politica della nuova amministrazione Nixon di progressiva riduzione dell'impegno americano, che nell'aprile di quell'anno aveva toccato la punta massima di 543.000 unità, e di "vietnamizzazione" della guerra. Nello stesso tempo, però, Nixon estese la guerra anche alla Cambogia dando ordine di bombardarne le province orientali dove giungevano i rifornimenti e le armi inviate dal Nord lungo la pista di Ho Chi Minh e dove i Vietcong avevano le loro basi di retrovia, i "santuari". L'intervento aereo si rivelava insufficiente ad arrestare l'azione dei Nord-Vietnamiti e l'amministrazione americana fece pressioni sull'opposizione interna al principe Sihanouk considerato troppo arrendevole e acquiescente alla politica di Hanoi. Nel marzo del 1970, in occasione di un viaggio a Parigi, Mosca e Pechino di Sihanouk, il parlamento cambogiano, su proposta del generale Lon Nol e del principe Sirik Matak, votò la decadenza della monarchia e l'istituzione della repubblica. Subito dopo fu stipulato un patto di alleanza anti-comunista con il Sud Viet Nam in base al quale immediatamente truppe americane e sud-vietnamite entrarono nel cosiddetto "becco d'anatra" per distruggere i santuari dei vietcong che, comunque, si erano nel frattempo eclissati. La risposta di Hanoi non si fece attendere e forze regolari dell'esercito nord-vietnamita scesero a occupare tutte le province settentrionali e orientali della Cambogia. Dietro le linee nord-vietnamite si stavano organizzando e addestrando le prima unità di "Khmer rossi" il cui leader, Saloth Sar, fu in seguito conosciuto con il nome di battaglia di Pol Pot. In Vietnam, non ostante la politica di disimpegno americano, i Vietcong continuavano a perseguire la loro strategia basata su attacchi notturni e rapide azioni di guerriglia nelle città, contro le basi e i centri civili e militari americani e nello stesso tempo conducevano una vasta e sistematica azione di penetrazione nelle campagne nella consapevolezza che la guerra l'avrebbe vinta chi riusciva a controllare gli oltre 2.200 villaggi rurali del Sud: le città, accerchiate e isolate, sarebbero poi inevitabilmente cadute. Agli inizi del 1972 erano ormai trascorsi quasi quattro anni dall'inizio delle trattative di pace alla Conferenza di Parigi e ancora non era stato raggiunto alcun risultato concreto, nel contempo era andato avanti il processo di "vietnamizzazione" del conflitto e le truppe americane sul terreno erano ormai scese a sole 70.000 uomini. Hanoi decise allora di dare una "spallata" al regime di Thieu e il 30 marzo scatenò la grande offensiva "di primavera" nella quale, a fianco dei Vietcong che conducevano i loro attacchi nella regione del Delta, intervennero consistenti forze regolari dell'esercito nord-vietnamita che investirono la zona demilitarizzata a ridosso del confine e le regioni montagnose a Ovest e occuparono la città di Quang Tri. L'attacco poté' essere arrestato solo grazie a un massiccio intervento dell'aviazione americana che scatenò poi una impressionante azione di rappresaglia contro il Nord: furono bombardate anche le dighe che trattengono le acque del Fiume Rosso e le dighe marittime. La città di Haiphong fu sottoposta a un furioso bombardamento e il suo porto fu minato per impedire l'ingresso delle navi sovietiche che rifornivano di armi, di carburante e di altri aiuti il Nord-Vietnam. Gli effetti su tutto il Paese furono disastrosi e il GRP sollecitò una accelerazione delle trattative su cui gli stessi Americani erano comunque d'accordo per poter procedere nel loro piano di disimpegno e in considerazione anche dell'alto costo, in uomini e mezzi, pagato soprattutto dalla loro aviazione durante l'offensiva di primavera e nei successivi raid contro il Nord che ora era difeso da batterie di missili terra-aria forniti dall'Unione Sovietica. A margine delle trattative ufficiali di Parigi, spesso bloccate dall'intransigenza di Thieu, si era aperto un canale ufficioso di diplomazia parallela condotta da Henri Kissinger e Le Duc Tho che nel mese di ottobre raggiunsero un primo accordo di massima che fu però respinto da Thieu che fece anzi pressioni su Nixon perché' ordinasse i nuovi massici bombardamenti che dal 18 al 30 dicembre si abbatterono su tutte le città del Nord. Finalmente, il 23 gennaio 1973, Kissinger e Le Duc Tho firmarono "l'accordo di cessazione delle ostilità e di ristabilimento della pace in Vietnam". Nixon annunciò ufficialmente che il 28 gennaio sarebbero cessate tutte le ostilità e che 60 giorni più tardi le truppe americane si sarebbero ritirate. Il testo ufficiale della Conferenza di Parigi fu firmato il 2 marzo 1973 dal segretario di Stato americano e dai ministri degli Affari esteri della Repubblica del Vietnam, della Repubblica democratica del Vietnam e del Governo provvisorio del Sud, i Vietcong e i loro alleati. Il testo, articolato in nove capitoli, prevedeva punto per punto tutti i passaggi del processo di pace. Al capitolo II, l'articolo 2 stabiliva la fine delle attività militari americane e lo sminamento dei porti e delle vie navigabili nel Nord, l'articolo 5 prescriveva la partenza delle truppe americane entro 60 giorni e l'articolo 6 lo smantellamento di tutte le basi militari americane. Il capitolo III prevedeva un periodo di 90 giorni per la liberazione di tutti i prigionieri civili e militari. Il capitolo IV riguardava "l'esercizio del diritto del popolo vietnamita all'autodeterminazione" e prevedeva una larga consultazione elettorale dei cittadini del Sud-Vietnam. Veniva inoltre costituita una commissione internazionale di controllo composta dai rappresentanti di 12 Paesi: dalla Polonia all'Indonesia, dalla Francia alla Cina, all'URSS, alla Gran Bretagna. In tutto il mondo la soddisfazione fu enorme ma nessuno fra i diretti interessati si faceva illusioni su un accordo di pace estremamente fragile e che non aveva sciolto il nodo centrale, che già si era posto dopo gli accordi di Ginevra del 1954: la riunificazione del Vietnam in un solo Paese. Il Nord non era minimamente disposto ad accettare la permanenza di Thieu al potere e la divisione del paese, soprattutto ora che non doveva più subire i distruttivi raid della aviazione americana e poteva contare liberamente sull'appoggio e gli aiuti dell'Unione Sovietica e degli altri paesi del blocco comunista, con l'eccezione della Cina che in materia di politica estera stava allineando sempre più le sue posizioni a quelle di Kissinger e Nixon per intaccare l'influenza dell' Unione Sovietica sul terzo-mondo. Hanoi era quindi fermamente determinata a liquidare il regime di Thieu e riunificare il Vietnam. Thieu il giorno stesso della dichiarazione di Nixon sulla fine delle ostilità, il 28 gennaio 1973, aveva dichiarato che "il cessate il fuoco non significa assolutamente la cessazione della guerra". Poteva contare su una forza di 1.200.000 uomini mobilitati, circa 2.000 aerei da combattimento anche dell'ultima generazione, su tutti i mezzi corrazzati e da trasporto lasciati dagli Americani nonché' sulla "forza di dissuasione" rappresentata dall'aviazione americana basata con 140.000 uomini in Thailandia e nelle altre basi del Pacifico. L'amministrazione Nixon inoltre, direttamente o per il tramite della famosa USAID, aveva assicurato nel 1974 un aiuto economico di 325 milioni di dollari, un aiuto militare iniziale di 813 milioni con un successivo stanziamento di altri 325. Per l'anno 1975 venivano messi a bilancio complessivamente poco meno di 2.000 milioni di dollari. Questa massiccia iniezione di denaro era comunque principalmente destinata ai fini bellici e quanto restava non poteva bastare a coprire i bisogni di una economia disastrata dalla guerra soprattutto nel settore agricolo che non riusciva neppure più a produrre il necessario per coprire il fabbisogno alimentare della popolazione tanto che il Sud-Vietnam era costretto a importare dalla Thailandia il riso e altri prodotti di prima necessità. Il cessate il fuoco non veniva rispettato da nessuna delle parti  e il migliaio di "osservatori" canadesi, ungheresi, indonesiani e polacchi incaricati di far osservare gli accordi stipulati a Parigi erano privi di qualsivoglia strumento coercitivo e non potevano fare altro che constatare le continue violazioni della tregua soprattutto nella regione del Delta dove l'esercito sud-vietnamita si confrontava con le forze del Governo rivoluzionario provvisorio che controllava le "zone liberate". Nel dicembre 1974 nel corso di una riunione a Hanoi fra i dirigenti del Nord e i rappresentanti del Governo provvisorio fu decisa la ripresa dei combattimenti su larga scala e si riorganizzarono le forze integrando le unità vietcong con reparti dell'esercito dotati di carri armati, artiglieria pesante e mezzi di trasporto truppe. Lungo la Pista di Ho Chi Minh fu avviata verso la regione degli altipiani e del Delta un'armata di 230.000 uomini mentre altre forze si attestavano sulla linea del 17° parallelo. Nel mese di Marzo del 1975 fu scatenata l'offensiva generale. Cadde per prima la regione degli altipiani del Tay Nguyen poi l'esercito nord-vietnamita occupò in rapida successione Quang Tri il 21 marzo, Hue il 26, Danang,  dove era posta la più importante base aerea lasciata dagli Americani, il 30 e cinque giorni dopo fu la volta di Nha Trang. L'esercito sud-vietnamita, che schierava nelle regioni di confine circa 300.000 effettivi, era in rotta e l'aviazione non poteva arrestare né ritardare la rapida progressione delle truppe del Nord. Colonne di rifugiati si ammassavano sulle strade che conducono a Sud: la popolazione civile cercava scampo ai combattimenti rifugiandosi in Saigon nella speranza che la capitale del Sud fosse risparmiata, come effettivamente lo fu, dai bombardamenti aerei e dai cannoneggiamenti. L'offensiva nord-vietnamita sembrò poi subire un rallentamento e solo il 16 aprile caddero Phan Rang e l'importante base navale di Cam Ranh. Il 21 aprile Thieu si vide costretto alle dimissioni e fu sostituito da Tran Van Huong in un ultimo, disperato tentativo di trovare una soluzione negoziata che comunque né Hanoi né il Governo Rivoluzionario Provvisorio furono disposti anche solo a discutere. Adducendo la motivazione di linee di rifornimento troppo lunghe che non consentivano la disponibilità immediata di carburante e munizioni per l'assalto finale, venne di fatto concesso agli ultimi diplomatici e consiglieri americani e ai più compromessi personaggi del regime di Thieu il tempo per prendere la fuga. Delle unità navali evacuarono il Consolato americano di Can Tho nel Delta e dal Mare dell'Est, dalle navi portaelicotteri "Okinawa", "Handcock" e "Midway", iniziò una continua spola di 81 elicotteri che si posavano sul tetto dell'Ambasciata americana e di altri edifici governativi portando in salvo l'ambasciatore americano Martin e i suoi ultimi collaboratori, il generale Nguyen Van Minh comandante militare di Saigon, l'irriducibile Nguyen Cao Ky e altri 5.595 alti ufficiali, dirigenti e notabili del regime di Thieu. Alle 11.30 del 30 aprile le truppe sudvietnamite deposero le armi e una colonna di carri armati T54 entrò in Saigon e occupò il palazzo presidenziale. I Nord-Vietnamiti, in seguito, a chi faceva loro notare che le difese di Saigon erano tanto deboli da non giustificare una pausa così prolungata intorno alla città dissero che avevano volutamente atteso che tutti gli uomini di Thieu fuggissero perché nessuno potesse pensare al rischio del "bagno di sangue" di cui molti osservatori occidentali agitavano lo spettro e volevano inoltre evitare i rischi di una "Norimberga asiatica" che avrebbe loro alienato le simpatie che si erano conquistati in tutto il mondo infliggendo un’umiliante ritirata alla superpotenza americana. La guerra si chiudeva con un pesantissimo tributo di distruzioni e di sangue. Anche se nessun dato ufficiale è mai stato reso pubblico alcune attendibili stime danno un totale di 2.313.000 civili morti tra il 1961 ed il 1975 durante i combattimenti o sotto gli oltre 14 milioni di tonnellate di bombe cadute sul Paese. Anche il debito di sangue pagato dagli Americani fu elevato: caddero più di 58.000 soldati.