Il tempio di Vat Phu
 
Mentre per secoli le etnie delle montagne hanno vissuto secondo ancestrali costumi, confinati in una sorta di rude primitivismo, nel fondo valle, lungo le rive del Mekong, già più di quindici secoli or sono fioriva una ricca e sontuosa civiltà: quella dei Khmer costruttori di Angkor. Qui si è lontani alcune centinaia di chilometri da quella splendida città, ma è qui che il popolo dei Kambuja ebbe le sue radici e nel luogo sacro agli antenati costruì uno dei suoi più importanti templi: il Vat Phu. Pochi chilometri più a Sud di Champasak, sulla riva sinistra del Mekong, gli archeologi hanno portato alla luce i resti di una antichissima città chiamata Kuruksetra che, secondo alcune iscrizioni sulla pietra, fu, nel V secolo, la prima capitale del potente regno khmer di Cenla. Gli antichi Annali imperiali cinesi ci hanno fatto conoscere questo regno e narrano che “presso la capitale c'è una montagna chiamata Ling-kia-po- p’o, sulla sommità della quale si leva un tempio cui fanno sempre guardia mille soldati”. Ling-kia-po-p’o è la traslitterazione in cinese del termine sanscrito Lingaparvata, cioè “Montagna del Linga”, e il monte Phu Kao che domina la pianura con la sua mole selvosa culminante in un monolito alto 1416 metri ha l’aspetto di un gigantesco linga, sacro al dio Shiva che era la divinità principale dei culti degli antichi khmer. Sulla pendice orientale della montagna si trova il grande tempio di Vat Phu che re Jayavarman IV fece innalzare intorno al 930 sulle rovine dell’antico santuario eretto dai suoi antenati. Per almeno altri due secoli e mezzo i suoi successori continuarono a onorare il luogo erigendo nuove costruzioni e arricchendo di decorazioni e bassorilievi i muri di pietra. Si può così dire che Vat Phu è una sorta di compendio della evoluzione dell’architettura khmer durante tutto il lungo periodo di apogeo dell’Impero. Crollato l’impero anche questo tempio cadde nell’oblio e la forza distruttrice della natura lo avrebbe sommerso se, cessati i sontuosi culti imperiali, la semplice religiosità popolare non avesse voluto salvaguardare la sacralità del luogo. Scomparsi i linga rivestiti da lamine d’oro e le statue in bronzo di Shiva, il tempio è diventato luogo di culto per la gente del popolo che qui per secoli ha continuato a venire per rendere omaggio ai geni delle acque e della montagna e onorare gli spiriti di antichi eroi le cui imprese vivono ancora oggi nelle leggende narrate dai cantastorie di paese. Vat Phu è un tempio ancora vivo anche se i suoi sacerdoti sono scomparsi da molti secoli. Questa è la sensazione che prova un viaggiatore che dai bordi del grande bacino rituale osservi lo snodarsi della “via sacra” sulle balze del declivio. La natura che incornicia i monumenti si rinnova a ogni cambio di stagione e così pare ogni volta riportare a nuova vita le antiche pietre. Il viale di accesso, lungo 250 metri e fiancheggiato da steli votive in pietra e immagini del mitico naga, conduce a una spianata dove sorgono due grandi edifici a pianta rettangolare che gli storici dell’arte dicono risalire al XI – XII secolo. Da qui la via sale fra un doppio colonnato fino a una seconda terrazza intorno alla quale giacciono sparsi nella vegetazione molti frammenti di decorazioni e dove una statua angkoriana di dvarapala è stata trasformata dalla fantasia popolare in una effige del mitico principe Kammatha che fondò il leggendario regno di Champasak. Si salgono ancora due terrazzamenti e si arriva ai piedi dei sette gradoni che portano alla spianata dove giace immerso nella vegetazione il santuario principale. E’ una pregevole costruzione in mattone, laterite e arenaria che risalirebbe al XI secolo. Non è più luogo di culto ma per i Laotiani continua a essere un luogo altamente sacro, tanto che salgono alla fonte posta dietro il santuario per raccogliere l’acqua per le loro aspersioni purificatorie e numerose immagini del Buddha si sono venute a aggiungere a tutti gli idoli induisti scolpiti nella pietra. Il cultore di storia dell’arte classica khmer può trovare in Vat Phu materiale inesauribile e di grande valore artistico ma forse maggiore è la soddisfazione del viaggiatore che giunge qui per assistere ai riti con i quali i Laotiani di oggi celebrano la loro fede buddhista nei luoghi che erano stati resi sacri dai loro predecessori e riempiono di offerte tanto gli altari posti davanti al Buddha quanto quelli eretti davanti alle antiche immagini di divinità brahmaniche.