Malraux, il ladro di Banteay Srei

 

Erano gli inizi del secolo scorso e durante un ordinario servizio di pattuglia nella spopolata e boscosa provincia di Siem Reap, un sottoufficiale della polizia coloniale trovò un tempietto semisommerso dalla vegetazione a una trentina di chilometri da Angkor. Come era suo dovere, segnalò il fatto ai servizi archeologici ma si era nel 1914 e, con la guerra che infuriava in Europa, la cosa non ebbe seguito. Alcuni anni più tardi l’archeologo H.Parmentier vi fece un ispezione e scrisse un articolo su questo tempio, che era stato battezzato Banteay Srei, la Cittadella delle donne, in omaggio alle deliziose figure di divinità femminili raffigurate nei bassorilievi. 

Nel 1923, quell’articolo capitò fra le mani dell’allora giovane André Malraux che di soldi in tasca ne aveva pochi, ma di idee in testa ne aveva molte. Pensò forse, lui uomo di cultura, che era immorale lasciare quelle stupende sculture sommerse dalla selva in un luogo selvaggio, lontane dagli occhi di quanti avrebbero potuto apprezzarle. Decise quindi di andarle a recuperare anche perché qualche antiquario parigino gli aveva promesso un bel gruzzolo, si dice duecentomila franchi, se fosse riuscito a portarle nella Ville Lumière.

Malraux ingannò i funzionari del Ministero delle Colonie, spacciandosi per archeologo e riuscì a farsi accreditare presso l’Ecole Française d’Extreme-Orient. Giunse a Siem Reap con la moglie e un complice con il pretesto di condurre una campagna di scavi in siti ancora non esplorati.

Fu però piuttosto malaccorto e Henri Marchal, il capo dei servizi archeologici, gli mise alle costole un vecchio cambogiano che non parlava molto ma vedeva tutto. Il suo gioco fu subito scoperto, ma aspettarono di coglierlo con le mani nel sacco. Malraux segò le pietre e si portò via due frontoni e i bassorilievi delle stupende “dame celesti”.

Pensava di averla fatta franca ma quando arrivò a Phnom Penh con le casse che contenevano la refurtiva, trovò la polizia ad attenderlo e fu arrestato. Fu processato, riconosciuto colpevole e condannato a due anni e sei mesi di carcere, ricorse in appello e si diede alla latitanza scappando in Francia, dove suscitò una veemente campagna in favore del “diritto” dei popoli civili a conoscere – e incamerare – le opere del genio umano. Nel 1926 il Tribunale di Phnom Penh lo condannò, in contumacia, a un anno di galera, con sentenza passata in giudicato. Non scontò mai la pena ma non ritornò mai più in Cambogia, neppure quando era diventato ministro della Cultura di De Gaulle. Il fatto ebbe grande risalto su tutta la stampa dell’epoca e le fotografie delle stupende dame di Banteay Srei occuparono le prime pagine dei giornali. Non si poteva farle ritornare fra le selve o seppellirle in un museo. Henri Marchal si prese l’incarico di ricostruire la loro reggia e ricollocarle nel luogo più degno. Fu il primo restauro eseguito con la tecnica dell’anastilosi e quando fu terminato nel 1932 tutti compresero che questo era il metodo di lavoro che doveva essere applicato in tutti i monumenti di Angkor.

Non contento di essere scampato alla galera, dandosi alla latitanza, Malraux tentò anche di nobilitare la sua “impresa” scrivendo, nel 1930, “La Voie royale” in cui è romanzata la vicenda del furto. Ricevette anche dei premi ma ogni attento lettore si può accorgere che, forse a corto di idee, Malraux ha plagiato Conrad, attingendo a piene mani da Heart of Darkness, il famoso “Cuore di tenebra”. Se non era riuscito a rubare le pietre, riuscì almeno a rubare le idee.