Non tutti i popoli hanno gli stessi diritti

 

Nel 1789 l’antico ordinamento fu scosso dalla Rivoluzione francese. Fra i suoi primi atti, il 26 agosto 1789, vi fu l’approvazione da parte dell’Assemblea nazionale della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Il testo, proposto dal marchese La Fayette, si basava sui principi enunciati nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, del 4 luglio 1776, nel cui preambolo si poteva leggere: “Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”. Questo dicevano i padri fondatori americani e gli uomini della Rivoluzione gli fecero eco, scrivendo, all’articolo 1, che “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti”.

Sono ormai trascorsi ben più di due secoli da quando questi principi furono solennemente enunciati. Oggi ci chiediamo cosa rimane di queste enunciazioni, continuamente ignorate e troppo spesso violate dagli stessi discendenti, Americani e Francesi, degli uomini che proclamarono questi sacri diritti. Sono violati i diritti del singolo cittadino, ma sono violati anche i diritti dei popoli e la storia d’Indocina ne porta ampia testimonianza.

Ho Chi Minh ebbe forse il torto di credere a queste parole.

Durante la Seconda guerra mondiale si schierò a fianco degli Alleati. In questa rara fotografia lo si vede insieme a Giap e al maggiore Allison Kent Thomas dell’OSS, l’antenata della CIA, capo della  missione militare americana che doveva coordinare le azioni di guerriglia del Vietminh contro l’esercito giapponese.

Credette a quelle parole, tanto da volere inserire nella Dichiarazione di indipendenza del Vietnam le stesse parole usate dai “Padri fondatori americani”: “Tutti gli uomini nascono liberi. Il Creatore ci ha dato dei diritti inviolabili: il diritto di vivere, il diritto d’esser libero, il diritto di realizzare la nostra felicità”. Fu tutto inutile perché gli Americani non credevano alle parole da essi stessi pronunciate.

Con lo scoppio delle ostilità francesi nel Vietnam del Sud, tra settembre e ottobre del 1945 i Viet Minh richiesero formalmente l'intervento degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite contro l'aggressione francese, citando la Carta Atlantica, la Carta delle Nazioni Unite, e un discorso di politica estera del presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, con cui nel mese di ottobre 1945 aveva incoraggiato l'auto-determinazione dei popoli. Da ottobre 1945 a febbraio 1946, Ho Chi Minh scrisse a Truman e al Segretario di Stato James Byrnes almeno otto comunicazioni. Comunicò per l'ultima volta direttamente con gli Stati Uniti nel settembre del 1946, quando visitò l'ambasciatore USA a Parigi George Abbot, al quale richiese nuovamente l'assistenza degli Stati Uniti per ottenere l'indipendenza del Vietnam. Non vi è alcuna traccia di risposta degli Stati Uniti https://it.wikipedia.org/wiki/Ho_Chi_Minh. La risposta, anzi, fu la guerra.