Cambogia, Laos e Vietnam: la lotta per l'indipendenza

Abili e autorevoli penne hanno narrato la storia delle lotte che Vietnam, Cambogia e Laos, condussero per conquistare la loro indipendenza. Sono storie che si intrecciano e non possono essere lette separatamente. Nel libro “Indocina” edito da Polaris, ho tentato di dare una visione contestuale delle vicende che si sono svolte in questi paesi, dall’inizio della Seconda guerra mondiale.

La Seconda guerra mondiale era alle porte. Nel 1937 i Giapponesi avevano invaso la Cina e nel 1939 occupavano l'isola di Hai-nan, che domina il golfo del Tonchino, e ammassavano truppe sulla linea di frontiera a Lang Son. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel settembre 1939, in Francia il governo Daladier mise fuorilegge il Partito comunista e le autorità coloniali fecero altrettanto in Vietnam arrestando molti comunisti, ma Ho Chi Minh, Phan Van Dong e Giap si salvarono prendendo la via delle montagne. Nel 1940 il governo collaborazionista di Vichy, strumento della Germania nazista, accettò la presenza delle truppe giapponesi sul territorio vietnamita e nel contempo cedette al Regno del Siam, alleato del Giappone, i territori occidentali della Cambogia. 

Quando nel 1941 i Giapponesi entrarono in Cambogia proclamando il loro desiderio di coinvolgere tutti i popoli asiatici in una "Sfera di Coprosperità" non furono pochi quelli che aderirono al nuovo credo vedendo anche che la monarchia cambogiana non aveva più alcun prestigio. In quell'anno era morto il re Monivong e con un atto di imperio il Governatore generale Decoux aveva deciso la successione a favore del diciannovenne principe Sihanouk che ai suoi occhi aveva il merito di essere un allievo del liceo francese di Saigon. Il malcontento crebbe e la polizia coloniale chiuse il giornale Nagaravatta e Son Ngoc Thanh si rifugiò a Tokio da dove tornò nel 1945 quando i Giapponesi dissolsero il regime coloniale, imprigionando tutti i Francesi, e Thanh costituì un governo nazionale. In questa occasione Sihanouk diede prova per la prima volta della sua capacità di adattarsi ad ogni situazione. Nel discorso per il Nuovo Anno, il giorno 15 aprile, dichiarò: "questo è l'anno in cui l'Impero del Sol levante, liberatore dei popoli d' Asia, fa alla Nazione khmer questo dono inestimabile: l'Indipendenza". Sei mesi più tardi, il 10 ottobre, ricevendo i comandanti delle truppe inglesi e francesi entrate in Phnom Penh li salutò come liberatori della Cambogia.

In Laos, anche gli anni della Seconda Guerra Mondiale trascorsero senza che le vicende interne subissero il minimo contraccolpo dei grandi rivolgimenti mondiali e i Giapponesi non entrarono in Laos che nel 1945. La vera guerra che in quegli anni fu combattuta sulle rive del Mekong fu quella tra il nazionalismo pan-thai e quello lao. Con il colpo di Stato del 1932 aveva preso il potere nel Regno del Siam un forte partito nazionalista che, in politica estera, predicava il credo della “grande Nazione di tutti i Thai” e, cambiando anche, nel 1939, il nome del Regno del Siam in Thailandia, la “Terra dei Thai”, manifestava chiaramente la sua volontà di ridefinire le linee di frontiera riunendo in un solo Stato tutti i Thai, compresi quelli che vivevano in Laos e in Birmania. Le autorità francesi del Protettorato, che obbedivano al governo collaborazionista di Vichy, reagirono con una campagna di apertura alle élites sociali, economiche e politiche laotiane, sollecitandone lo spirito nazionalista per scongiurare una annessione alla Thailandia che avrebbe significato l’inizio di uno smembramento del loro dominio coloniale. La conseguenza fu la nascita di un “partito” di notabili francofili che poi, nei drammatici decenni successivi, costituirono la base del partito filo-occidentale.

Di fronte al pericolo per la democrazia portato dal Giappone, alleato dell'Italia fascista e della Germania nazista, Ho chi Minh aveva fondato il Viet Nam Doc Lap Dong Minh, meglio noto come "fronte Viet Minh", in cui a fianco dei comunisti confluivano ampi strati di popolazione di diverso orientamento politico e credo religioso. La resistenza si organizzò  ma fu solo nel 1944 che cominciò a ricevere da Americani e Inglesi le armi e gli aiuti che gli consentirono di portare duri colpi di guerriglia contro gli occupanti e di affermarsi tra la popolazione come credibile forza politica nazionale. Il 2 settembre 1945, nel momento in cui il governo giapponese a Tokio firmava la resa, Ho Chi Minh proclamava ad Hanoi l'indipendenza del Vietnam, ma la Francia di De Gaulle non intendeva assolutamente rinunciare al proprio dominio coloniale. Con lo sbarco a Saigon del generale Leclerc, nell'ottobre 1945, la Francia intendeva riaffermare i propri diritti sul Vietnam e su tutta l’Indocina. Furono aperte trattative ma immediatamente scoppiarono incidenti. La flotta francese bombardò Haiphong e a dicembre Hanoi era diventata un campo di battaglia. Il generale Giap ritirò le sue truppe sulle montagne e iniziò la guerriglia. La guerra si propagò a tutto il Paese ma era nel Nord che i Francesi dovevano vincere per abbattere il governo di Ho Chi Minh e distruggere il suo esercito. Apparve immediatamente chiaro ai Francesi che in Vietnam era possibile solo una soluzione militare mentre in Laos e Cambogia non sarebbe stato difficile negoziare delle soluzioni politiche.

In Cambogia, la Francia riuscì ad attenuare le spinte indipendentiste con la concessione del diritto di costituire partiti politici per partecipare alle elezioni di una Assemblea consultativa. Il Partito democratico che riuniva tutti i nazionalisti e che era guidato dal principe Youthevong alle elezioni del 1946 ottenne la maggioranza assoluta. Nulla cambiò però nel regime coloniale e nell'appoggio che la monarchia continuava a portargli. Un motivo di preoccupazione più concreto poteva invece venire dalla guerriglia anti-monarchica e anti-francese condotta a Ovest dai nazionalisti Issarak e a Est dai comunisti guidati da Son Ngoc Minh e appoggiati dal Viet Minh di Ho Chi Minh. Si trattava però di forze minoritarie incapaci di suscitare un movimento popolare organizzato.

In Laos nacque invece un conflitto all’interno stesso della famiglia reale dove il re Sri Savang Vong era favorevole a un ritorno negoziato dei Francesi mentre suo nipote, il potente principe Petsarath di Vientiane, postosi a capo del movimento dei Lao Issara reclamava l’indipendenza. Il movimento si spezzò subito in tre tronconi che incarnavano le tre anime dello schieramento indipendentista. Petsarath era contrario a ogni trattativa con i Francesi e voleva l’indipendenza immediata. Il suo fratellastro principe Souvanna Phouma, vicino alle posizioni del sovrano, era disposto a negoziare con la Francia una forma di relativa indipendenza nell’ambito della Unione francese. La necessità di una lotta, anche armata, a fianco del Viet Minh per l’indipendenza di tutta l’Indocina veniva invece sostenuta da un terzo fratellastro, il principe Souphanouvong. Nell’agosto del 1946 la Francia concesse al Laos una parziale autonomia nel quadro dell’Unione francese e nel 1947 una riforma istituzionale trasformò il paese in monarchia costituzionale. Due anni più tardi la Francia concesse una formale l’indipendenza, ma sempre nel quadro della Unione francese. Souvanna Phouma accettò questa soluzione mentre invece Souphanouvong rimase sulle montagne dove aveva costituito il fronte armato del Pathet Lao, la “Patria Lao”, che combatteva a fianco del Viet Minh.

La situazione in Vietnam diventò per i Francesi più difficile alla fine del 1949 quando Mao prese il potere in Cina ed inviò aiuti ed armi al Viet Minh. Fu deciso un generale ripiegamento a difesa del cosiddetto "Paese utile", vale a dire le grandi pianure risicole, le piantagioni, le vie di comunicazione e fu creato un sistema di posti fortificati collocati nei punti strategici ma questo non fermò l’infiltrazione del Viet Minh in zone sempre più vaste del paese.

L'esercito francese era sempre più impegnato nella guerra in Viet Nam e la Cambogia era solo una retrovia, dove stazionavano poche truppe coloniali e gli scarsi effettivi della gendarmeria. Temendo di venir scavalcato dalle forze della guerriglia Sihanouk prese l'iniziativa di un'audace manovra politica e diplomatica e tentò un vero e proprio bluff minacciando i Francesi di scatenare la guerra di liberazione anche in Cambogia. La mossa ebbe effetto e il governo francese accettò di restituire alla corona cambogiana l'autorità sulle forze armate e le competenze in politica estera e in materia giudiziaria. In tal modo, senza colpo ferire, Sihanouk riuscì a proclamarsi "padre" della Indipendenza che venne proclamata il 9 novembre 1953.

La Francia era in difficoltà ma poteva comunque contare su un massiccio aiuto da parte degli Stati Uniti che nel 1953 avevano sostenuto con 385 milioni di dollari il 60% delle spese della guerra, avevano inoltre inviato 25.000 tonnellate al mese di armi e munizioni ed assicuravano la copertura aerea ed i trasporti. Il generale Navarre decise allora di occupare nel novembre 1953 la valle di Dien Bien Phu creando una potente base protetta da forze aeree, da blindati e con una guarnigione di para e legionari con l'obiettivo di bloccare la strada verso l'alto Laos e costringere Giap ad affrontare una battaglia campale nella quale la supremazia tecnica francese avrebbe avuto il sopravvento. Utilizzando 700 autocarri ed un esercito di biciclette Giap aveva spostato quattro divisioni di fanteria ed una di artiglieria pesante, per un totale di circa 50.000 uomini, ed occupò le creste montagnose che chiudono la valle. I Vietnamiti scesero nella pianura al coperto delle trincee ed il 13 marzo lanciarono l'assalto contro la prima delle postazioni esterne che proteggevano la base. Una dopo l'altra caddero tutte fino a che il 1 maggio venne lanciato l'assalto finale che si concluse alle 17 del 6 maggio quando il generale De Castries si arrese con i 10.754 soldati francesi sopravvissuti. Pochi giorni prima, il 26 aprile, si erano aperti i lavori della Conferenza di Ginevra sulla Corea e sull'Indocina ma la discussione del dossier Viet Nam iniziò solo 24 ore dopo la caduta di Dien Bien Phu. La firma degli accordi di Ginevra avvenne il 21 luglio 1954 e fu sancita la separazione del Viet Nam in due parti, all'altezza del 17° parallelo. La parte settentrionale con Hanoi come capitale restava nelle mani del Viet Minh, la parte meridionale, con Saigon capitale, in teoria era indipendente ma nei fatti si trovava sotto la tutela degli Stati Uniti che vedevano nel Sud-Viet Nam un baluardo contro la penetrazione del comunismo nel Sud-Est asiatico. Questa divisione del Paese avrebbe dovuto essere provvisoria in attesa di elezioni generali da svolgersi entro l'anno 1956 con le quali tutta la popolazione avrebbe dovuto esprimersi sull'assetto da dare all'intero Paese. Queste elezioni non ebbero mai luogo.

La conquista dell'indipendenza praticamente senza spargimenti di sangue aveva rafforzato in Cambogia il prestigio di Sihanouk e le campagne, che rappresentavano il 95 % della popolazione cambogiana, videro in questa impresa del sovrano l'atto di un padre della patria che liberava i suoi figli dalle esazioni del regime coloniale. Il consenso non era altrettanto unanime a Phnom Penh dove molti democratici consideravano vinta la battagli nazionalista ma ancora aperta quella repubblicana. Un pericolo, per il momento ancora di lieve entità ma pronto a esplodere, erano i comunisti, pochi di numero ma forti dell'appoggio che veniva loro dal Nord Viet Nam. Nel 1955 erano previste le elezioni per la nuova Assemblea nazionale e Sihanouk temendo un successo anche solo parziale dell'opposizione fondò un suo partito, il Sangkum Reastr Niyum cioé "Comunità Socialista Popolare". Per guidare il partito, abdicò a favore del vecchio padre Suramarit ma conservò la carica di Capo dello Stato. Alle elezioni il Sangkum ottenne la totalità dei seggi. Per aggiungere carisma internazionale alla sua vittoria, partecipò alla Conferenza di Bandung e al fianco di Nerhu, Nasser, Tito, Sukarno costituì il Movimento dei non-allineati e strinse una forte amicizia con il cinese Zhou Enlai. Da quel momento Sihanouk governò in autocrate eliminando con la repressione o con la corruzione ogni possibile forma di opposizione.

Perduravano invece le lacerazioni in Laos dove gli Stati Uniti iniziarono a sostenere economicamente e politicamente le forze filo-occidentali del governo laotiano mentre il Pathet Lao e i suoi alleati, che controllavano tutto il Nord-Est e avevano costituito il Fronte Patriottico Lao, godevano dell’appoggio del Vietnam e di Cina e Unione Sovietica. Le due opposte fazioni laotiane previlegiarono la via della trattativa a quella del confronto armato e così si affrontarono alle elezioni per l’Assemblea Nazionale nel 1958. Il Fronte Patriottico ottenne la maggioranza con 13 seggi su  21. La destra reagì con un colpo di Stato che portò all’arresto di ministri e parlamentari del Fronte. Souphanouvong stesso finì in galera ma riuscì a evadere e raggiungere in montagna le forze del Pathet Lao che intanto avevano ripreso le armi. Nel Sud, frattanto, Boun Oum, principe del Champasak, aveva creato una sua milizia e propugnava una intesa con la Thailandia.

La vera guerra però si cominciò a combattere in Vietnam dove nel Sud, sotto la tutela americana, il potere era finito nelle mani di Ngo Dinh Diem, un personaggio la cui personalità era marcata da un intransigente cattolicesimo. La famiglia di Diem era sostenuta dai grandi proprietari terrieri delle regioni del delta del Mekong e la sola vera opposizione a Diem erano i Vietcong, o per meglio dire il Fronte Nazionale di Liberazione che si era costituito nel 1960 e sostanzialmente riproponeva il vecchio schema del Viet Minh di una alleanza comprendente forze di diversa estrazione ideologica ma fra le quali i comunisti erano egemoni. Diem stesso era il loro migliore ufficiale reclutatore convogliando su di essi le simpatie di tutti gli oppositori, anche non comunisti, al suo corrotto regime.  L’amministrazione Kennedy, preoccupata per la situazione aveva portato la presenza dei "consiglieri" militari americani a 15.000 uomini, compresi i famosi “Berretti verdi”, ma nel 1963 esplose la protesta dei buddhisti scatenata dal divieto posto dall'arcivescovo di Huè, fratello del Presidente Diem, ai festeggiamenti del giorno anniversario della nascita del Buddha. La cerimonia degenerò in un bagno di sangue ed i paracadutisti inviati dal governo saccheggiarono le pagode. Qualche giorno più tardi il bonzo Thich Than Dong si immolò con il fuoco davanti agli obiettivi di reporter di tutto il mondo; altri bonzi lo imitarono. Ormai il credito di Diem era divenuto inesistente anche per gli Americani ed il 1 novembre alcune unità dell'esercito attaccarono il palazzo presidenziale. Diem e suo fratello Nhu fuggirono ma furono catturati ed uccisi per essere sostituiti con personaggi forse più credibili, l’ultimo dei quali fu Thieu. Gli Stati Uniti ormai si trovarono ad essere coinvolti direttamente nelle vicende vietnamite a seguito dal cosiddetto "incidente del Golfo del Tonchino" dove il 2 e 4 agosto 1964 alcune motovedette nord-vietnamite aprirono il fuoco contro il cacciatorpediniere "Maddox". La verità è ancora oggi avvolta nell'ombra, resta il fatto che il presidente Johnson fece votare dal Congresso una risoluzione che lo autorizzava ad "utilizzare tutti i mezzi necessari per rispondere alle aggressioni nord-vietnamite". La prima operazione, che portava il nome di "Rolling Thunder", fu il bombardamento di obiettivi militari ed industriali a nord del 17° parallelo allo scopo di costringere il Vietnam del Nord a cessare le sue attività nel Sud e distruggere nel contempo le retrovie della guerriglia. La spirale della guerra era avviata e non erano più sufficienti i soli 20.000 "consiglieri" militari: nel marzo 1965 sbarcarono a Danang i primi contingenti delle forze di combattimento di terra che andarono aumentando fino a quasi 200.000 unità alla fine dell'anno per poi raddoppiarsi nel successivo 1966. Questo massiccio dispiego di forze e l'incontrastata superiorità aerea non servirono a intaccare la forza ed incisività delle azioni dei Vietcong che potevano avvalersi di un largo appoggio da parte delle popolazioni delle campagne ed erano sostenuti dai costanti rifornimenti di armi e munizioni che scendevano dal Nord lungo la cosiddetta "Pista di Ho Chi Minh".

Anche il Laos fu quindi coinvolto nella guerra del Vietnam. Una guerra che si combatteva sull’altro versante della frontiera, ma era soprattutto in territorio laotiano, sulle impenetrabili pendici della Catena annamitica, che correva la “Pista di Ho Chi Minh”. Su di essa si scatenò la furia dei bombardamenti americani che, a una media di 110 incursioni aeree ogni giorno, inutilmente tentarono di interromperla. I raid aerei partivano soprattutto dalla Thailandia, dall’altopiano di Korat dove era stata anche costruita una cosiddetta “strada della amicizia” che in molti tratti era stata trasformata in pista di decollo e atterraggio. Non ostante i due milioni di tonnellate di bombe che devastarono il paese, gli Americani non riuscirono però a interrompere mai le linee di rifornimento dei Vietcong e delle forze del Pathet Lao che erano attestate soprattutto nei sicuri rifugi naturali delle grotte di Sam Neua. Il fallimento della strategia aerea indusse gli Americani a tentare la tattica di combattere i guerriglieri con altri “irregolari” e fu organizzata una truppa di 10.000 uomini arruolati fra H’Mong, Thai e Lao Thueng.

Gli stati Uniti conducevano la guerra su due fronti. Con l’aviazione martellavano il Nord del Vietnam, la “Pista di Ho Chi Minh” ed il Laos. A sud del 17° parallelo, con le truppe di terra tentavano di mantenere il controllo del territorio ma neppure le spettacolari azioni delle truppe aerotrasportate e degli elicotteri per individuare, accerchiare e distruggere le unità dei Vietcong intimorirono un nemico che sapeva sfuggire eclissandosi anche nel sottosuolo dove erano state costruite autentiche cittadelle collegate da gallerie che, come a Cu-chi nel Delta, avevano anche un estensione di più di 200 chilometri. Nel 1967 gli effettivi americani impiegati in Viet Nam avevano raggiunto quasi il mezzo milione di unità. Agli inizi del 1968, in occasione della festa di capodanno del Tet, i Vietcong si infiltrarono in Saigon, in Huè e in una sessantina di altri centri minori attaccando, nella notte del 29 gennaio, le postazioni americane e sud-vietnamite, gli aeroporti, i depositi di carburante. L’impatto psicologico fu enorme tanto da indurre gli Stati Uniti a rivedere la loro linea di intervento e a inaugurare una strategia di "pacificazione": Washington accettò di avviare delle discussioni preliminari con il governo della Repubblica democratica del Viet Nam e nel mese di maggio iniziarono a Parigi gli incontri che sarebbero poi durati sino al 1973.

In questo inferno di morte e distruzioni la Cambogia era in apparenza un’isola di pace. Al censimento del 1962 la popolazione risultava cresciuta fino a 5.700.000 persone e Phnom Penh era diventata una vera capitale con più di 390.000 abitanti. L'opposizione comunista era quasi inesistente e nel 1963 il partito elesse come segretario generale Saloth Sar che divenne poi noto con il nome di Pol Pot. La sua prima decisione fu quella di entrare con tutto il gruppo dirigente nella clandestinità, prima nella provincia di Kompong Cham poi sui monti di Ratanakiri dove restarono fino al 1970 in un totale isolamento, ridotti a poche centinaia di uomini male armati o disarmati, elaborando le loro strategie di lotta per la conquista del potere.

La guerra in Vietnam aveva però ormai incendiato tutta la penisola e Sihanouk iniziò il suo azzardato gioco di precario equilibrismo tra le forze in lotta. Con il pretesto che non avrebbe potuto opporre alcuna resistenza alla forza militare vietnamita aveva concesso ai Vietcong e all'esercito nord-vietnamita di occupare le province orientali dove sboccava la "Pista di Ho Chi  Minh" così come il porto di Sihanoukville e la strada e la ferrovia che lo collegavano al cosiddetto "becco di anatra", la provincia cambogiana che era la retrovia e il santuario dei Vietcong. In cambio, Sihanouk otteneva il pagamento di una tassa pari al 10 % del valore di tutte le merci transitate. Per bilanciare la partita, nel 1969, all'insaputa del Congresso degli Stati Uniti ma con il consenso di Sihanouk che aveva contrattato il pagamento di un compenso per i danni arrecati, iniziarono i bombardamenti "segreti" della aviazione americana che mirava a distruggere le retrovie logistiche dei Vietcong nelle province orientali della Cambogia.

Il 1969 fu per i Vietnamiti l'anno segnato dal grande lutto per la morte il 2 settembre di Ho Chi Minh; per gli Americani invece fu l’anno in cui prese corpo la politica della nuova amministrazione Nixon di riduzione dell'impegno americano, che nell'aprile di quell'anno aveva toccato la punta massima di 543.000 unità, e di "vietnamizzazione" della guerra. Nello stesso tempo, però, la guerra si estendeva alla Cambogia dove i bombardamenti americani si dimostrarono insufficienti per distruggere le basi dei Vietcong ed arrestare l'azione della guerriglia e si imponeva quindi come unica soluzione l’intervento di truppe di terra. La Cambogia era però un paese neutrale ed il Congresso degli Stati Uniti aveva proibito l’allargamento dei fronti di guerra e Sihanouk non aveva alcuna intenzione di farsi ulteriormente coinvolgere in quella guerra. L’amministrazione americana fece pressioni sull'opposizione interna. Il pericolo per Sihanouk veniva dagli ambienti della media e alta borghesia che vedevano i loro interessi economici in pericolo e da settori dell'esercito che auspicavano una alleanza con gli Stati Uniti nella lotta anticomunista e contro l'atavico nemico vietnamita. Sihanouk scelse di partire per delle cure termali in Francia cui fece seguire un viaggio di consultazioni a Mosca e a Pechino. In sua assenza il Primo ministro Lon Nol e il principe Sirik Matak convocarono una seduta straordinaria dell'Assemblea nazionale che dichiarò Sihanouk decaduto dalle funzioni di Capo dello Stato. Venne poi abrogata la monarchia e instaurata la repubblica e infine Sihanouk fu condannato a morte per tradimento. Lon Nol stipulò una alleanza con Stati Uniti e Sud Vietnam le cui truppe poterono entrare in Cambogia per tentare di distruggere le retrovie dei Vietcong ma l’operazione fu un fallimento. A Pechino, Sihanouk costituì il GRUNK, Governo Reale di Unità Nazionale di Kampuchea, che era una coalizione fra i monarchici ed i comunisti di Pol Pot, e lanciò un appello al popolo cambogiano perché prendesse le armi e si unisse nella lotta contro i traditori di Phnom Penh. Sihanouk diventò  così  "l'ufficiale reclutatore" di un vasto movimento di lotta che lui stesso battezzò il maquis ma al suo interno, come all’interno del Governo, gli uomini di Pol Pot occupavano le posizioni chiave e in tal modo arrivarono presto a egemonizzarlo creando una struttura che chiamarono Angkar, cioé la "Organizzazione". Malgrado il sostegno dell’aviazione americana che in quegli anni scaricò 539.000 tonnellate di bombe, vale dire 3.000 chili di esplosivo per ogni chilometro quadrato di terra di Cambogia, l’esercito di Lon Nol perse rapidamente il controllo del paese. L'appello di Sihanouk aveva assicurato al maquis l'appoggio di tutto il mondo contadino che lo considerava "l’esercito del re Sihanouk". L'esercito repubblicano era assediato nella capitale e nei maggiori centri abitati. A centinaia di migliaia, i contadini fuggirono dai villaggi cercando scampo dalle bombe nelle città: la sola Phnom Penh fu invasa da circa due milioni di profughi.

Dopo quasi cinque anni di trattative, il 23 gennaio 1973, Kissinger e Le Duc Tho firmarono "l'accordo di cessazione delle ostilità e di ristabilimento della pace in Vietnam". Nixon annunciò che il 28 gennaio sarebbero cessate tutte le ostilità e che 60 giorni più tardi le truppe americane si sarebbero ritirate. Il Nord non era però minimamente disposto ad accettare la permanenza di Thieu al potere e la divisione del Paese. Analogamente Thieu il giorno stesso della dichiarazione di Nixon sulla fine delle ostilità dichiarò che "il cessate il fuoco non significava assolutamente la fine della guerra". Il cessate il fuoco non veniva rispettato da nessuna delle parti. Nel dicembre 1974 nel corso di una riunione ad Hanoi fra i dirigenti del Nord e i membri del Governo provvisorio del Sud venne decisa la ripresa dei combattimenti su larga scala e nel mese di marzo del 1975 venne scatenata l'offensiva generale. Cadde per prima la regione degli altipiani del Tay Nguyen poi l'esercito nord-vietnamita occupò Quang Tri il 21 marzo, Hue il 26, Danang il 30 e cinque giorni dopo fu la volta di Nha Trang. L'esercito sud-vietnamita era in rotta e l'aviazione non poteva arrestare la rapida progressione delle truppe del Nord. Il 21 aprile Thieu si vide costretto alle dimissioni e fu sostituito da Tran Van Huong in un ultimo, disperato tentativo di trovare una soluzione negoziata che comunque né Hanoi né il Governo Rivoluzionario Provvisorio furono disposti a discutere. Giunti di fronte a Saigon Vietcong e Nord-vietnamiti si arrestarono per dare tempo agli ultimi diplomatici e consiglieri americani e ai più compromessi personaggi del regime di Thieu di prendere la fuga. Dalle navi portaelicotteri "Okinawa", "Handcock" e "Midway", iniziò una spola di 81 elicotteri che si posavano sul tetto dell' Ambasciata americana e di altri edifici governativi portando in salvo l'ambasciatore americano Martin ed i suoi ultimi collaboratori, il generale Nguyen Van Minh comandante militare di Saigon, l'irriducibile Nguyen Cao Ky e altri 5.595 alti ufficiali, dirigenti e notabili del regime di Thieu. Alle 11.30 del 30 aprile le truppe sudvietnamite deposero le armi ed una colonna di carri armati entrò in Saigon ed occupò il palazzo presidenziale. La guerra si chiudeva con un pesantissimo tributo di distruzioni e sangue: 2.313.000 Vietnamiti erano morti tra il 1961 ed il 1975 nei combattimenti o sotto gli oltre 14 milioni di tonnellate di bombe cadute sul Paese. Anche il debito di sangue pagato dagli Americani fu elevato: caddero più di 58.000 soldati.

La fine del conflitto fu molto meno traumatica in Laos perché già gli Accordi di Pace di Parigi del 1973 avevano consentito un avvicinamento fra le diverse fazioni laotiane che, pur senza disarmare, cercarono una intesa politica che sfociò, il 5  aprile 1974, nella formazione di un governo di Unione nazionale presieduto da Souvanna Phouma e di un  Consiglio politico nazionale consultativo presieduto da Souphanouvong. Nell’aprile 1975 gli ultimi Americani abbandonarono Vientiane seguiti da ministri, alti ufficiali e gente appartenente alle classi medie spaventata dall’idea dell’avvento di un regime comunista. Il Pathet Lao ruppe gli indugi e il 23 agosto, senza colpo ferire, occupò la capitale senza però prendere ancora il potere: voleva una soluzione politica. La situazione precipitò quando, il 18 novembre, la Thailandia fermò tutta la linea di frontiera e il Laos si trovò in uno stato di totale isolamento e blocco commerciale. Il governo provvisorio di unità nazionale diede allora mandato ai due principi, Souvanna Phouma e Souphanouvong, di recarsi, il 28 novembre, al Palazzo reale di Luang Prabang per chiedere l’abdicazione del sovrano e il 2 dicembre fu proclamata la Repubblica Popolare Democratica del Laos. L’Assemblea costituente nominò Souphanouvong Capo dello Stato ma riservava un ruolo anche a Souvanna Phouma e all’ex-re Savang Vatthana che ricevettero la molto ambigua carica di “consiglieri politici supremi”; si trattava però di una fittizia conciliazione nazionale perché dopo poco Souvanna Phouma venne pensionato e l’ex-re, con tutti i suoi più stretti famigliari, fu inviato in un campo di rieducazione da cui non fece mai più ritorno.

Finiva la guerra in Laos e in Vietnam ma non finiva in Cambogia dove si sarebbe continuato a combattere per altri 23 anni, fino al luglio 1998.

Quando nell’aprile 1975 Lon Nol si dimise e scappò negli Stati Uniti e l’ambasciatore J. Dean, e gli ultimi diplomatici abbandonarono in elicottero la sede dell'Ambasciata americana il sentimento della popolazione non era di paura e tutti pensavano solamente al fatto che la guerra era finalmente finita. Quei guerriglieri che entravano in città indossando il vestito nero dei contadini erano dei fratelli cambogiani, erano “i soldati di Sua Maestà il Re” e la gente era certa che da loro non potesse venire alcun male: si poteva lavorare insieme per ricostruire il paese. Questa era l'illusione della gente di Phnom Penh all'alba del 17 aprile 1975.

Il nuovo governo era quello Reale di Unità Nazionale costituito a Pechino nel 1970 da Sihanouk che ora veniva nominato Capo dello Stato di Kampuchea Democratica ma lo Stato in realtà non esisteva, era la Angkar che presiedeva a tutte le attività del paese. I suoi dirigenti erano noti come: Amico Numero 1 (Pol Pot), Numero 2, Numero 3, etc. fino al numero 8: erano i membri dell'Ufficio politico del PCK, il Partito Comunista di Kampuchea, il vero vertice dello Stato. Fu immediatamente data attuazione al programma di Kampuchea Democratica articolato in 8 punti: 1) evacuazione nelle campagne della popolazione di tutte le città; 2) chiusura di tutti i mercati; 3) abolizione del denaro; 4) secolarizzazione dei bonzi; 5) eliminazione dei quadri del passato regime; 6) instaurazione di comuni agricole in tutto il paese; 7) immediata espulsione di tutti i Vietnamiti; 8) schieramento delle truppe sulla frontiera. Il programma fu messo in atto immediatamente con la fucilazione di tutti gli esponenti governativi e tutti i graduati dell'esercito mentre la popolazione di Phnom Penh veniva costretta con la forza a lasciare la città. Dopo pochi mesi giunsero alla frontiera thailandese i primi fuggitivi che denunciavano le atrocità commesse.

Disastrosi furono i fallimenti che i Khmer rossi accumulano con la loro feroce politica di deportazione nelle campagne e di collettivizzazione forzata che precipitano la Cambogia nel baratro dello sterminio per fame. Nel 1976 Sihanouk si dimise dalla carica di Capo dello Stato ritirandosi nel Palazzo reale di Phnom Penh. Il nuovo Capo dello Stato fu Khieu Samphan mentre Pol Pot divenne Primo ministro. Erano ormai noti e documentati i massacri compiuti dai Khmer rossi ma numerosi Stati stabilirono rapporti diplomatici con Kampuchea Democratica e dopo Cina, Nord Corea, Birmania, Perù, Malaysia, Filippine, Singapore e il Cile di Pinochet, il 26 giugno 1976 si aggiunse anche l'Italia.  Per stornare su un nemico esterno le gravi contraddizioni interne che attraversava lo stesso gruppo dirigente, che venne colpito da sanguinose "purghe" interne, Pol Pot e l'Ufficio politico dell'Angkar decisero di intensificare gli attacchi alle ricche zone risicole oltre la frontiera vietnamita nella terra chiamata Kampuchea Kraom, "Cambogia meridionale”, che un tempo era appartenuta al regno di Cambogia e che continuava ad essere abitata da una forte minoranza khmer. A queste incursioni l'esercito vietnamita rispondeva con pari determinazione inoltrandosi spesso anche oltre la linea di frontiera e portando con se durante la ritirata migliaia di cambogiani che fuggivano dalla fame e dalla disperazione del regime imposto dall'Angkar. Alla deflagrazione di questo conflitto di frontiera non erano certamente estranee le pressioni esercitate su Phnom Penh dalla Cina, unico fornitore di armi ed aiuti del regime polpottista. Pechino infatti non poteva non desiderare di vedere impegnate nel Sud le migliori unità dell’esercito vietnamita che allora era considerato il sesto al mondo per potenza di fuoco, nel timore di un accerchiamento da parte dei Vietnamiti sul fronte meridionale mentre le sue forze dovevano fronteggiare l'armata sovietica sul confine settentrionale dell'Ussuri. Queste erano le conseguenze della politica del “tripolarismo” inaugurata da Kissinger e proseguita dal viaggio di Nixon a Pechino che saldava il comune interesse di Cina e Stati Uniti a bloccare l’espansione sovietica nel Sud-Est asiatico.   

Mentre centinaia e centinaia di migliaia di persone morivano di fame, spossamento, malattie e maltrattamenti nelle comuni agricole, continuavano le purghe interne e nel 1977 fu emanata la direttiva delle tre estirpazioni: dovevano essere eliminati tutti i Vietnamiti residenti in Cambogia, gli Khmer che parlavano vietnamita e quelli che avevano relazioni di famiglia, di amicizia o di lavoro con Vietnamiti. Primo di una lunga serie, il ministro della Informazione Hu Nim fu arrestato e giustiziato. Alcuni tentativi di colpo di Stato da parte dell'opposizione interna scatenano la repressione e a giugno Hun Sen, un giovane comandante militare della zona Est, disertò e fuggì in Vietnam. Dopo di lui fecero altrettanto altri ufficiali e interi reparti dell’esercito che costituirono il FUNSK, Fronte Unito Nazionale per la Salvezza della Kampuchea. La nascita di un Fronte di liberazione composta da soldati e ufficiali cambogiani dava ad Hanoi la copertura politica per un intervento militare che ormai era già stato deciso e che si attendeva di realizzare non appena fossero maturate le condizioni. A luglio del 1978 Pechino decise la cessazione degli aiuti al Vietnam, ritirò i propri tecnici ed espulse gli studenti vietnamiti. Hanoi rispose accentuando la pressione sul milione e mezzo di cittadini di origine cinese, gli Hoa, settecentomila dei quali vivevano nel quartiere commerciale di Cholon a Saigon e altri 200.000 nella provincia frontaliera di Quang Ninh. Cresceva il timore di un conflitto ed iniziò un esodo che divenne poi una drammatica fuga che sfociò nella tragedia dei "boat people" respinti da ogni approdo del Sud-Est asiatico e rimandati in Vietnam o internati in campi profughi. Mentre la Cina ammassava truppe sulla frontiera settentrionale il Vietnam si muoveva alla ricerca di una tutela internazionale e, dopo l'adesione al COMECON nel mese di giugno, stipulò nel dicembre 1978 un "patto di amicizia e di reciproca assistenza" con l'Unione Sovietica, il che voleva dire una alleanza militare con tutto il Patto di Varsavia. I tempi erano ormai maturi per la guerra e l'occasione fu fornita da un violento attacco portato in quello stesso mese di dicembre dai Khmer rossi contro la regione di Tay Ninh. Il giorno di Natale, quattro colonne formate da quattro divisioni vietnamite che inquadravano 125.000 uomini appoggiati da carri armati e da trasporti blindati entrarono in Cambogia. Alla loro testa procedevano i circa 20.000 uomini del FUNSK di Heng Sarim e Hun Sen. Le città capoluogo delle province orientali capitolarono velocemente ed il 7 gennaio 1979 le truppe entrarono in una Phnom Penh disabitata che Pol Pot ed i quadri dirigenti khmer rossi avevano abbandonato precipitosamente prendendo la fuga verso i monti del Cardamomo e la frontiera thailandese dove già esistevano campi di quei profughi che a partire dal 1975 avevano cercato scampo al rigore polpottista fuggendo dalla Cambogia. A Phnom Penh si insediò il governo di Kampuchea Popolare che diede inizio alla ricostruzione di un Paese distrutto da cinque anni di guerra seguiti da tre anni, otto mesi e venti giorni di una spietata dittatura che aveva distrutto tutte le infrastrutture economiche. Il governo di Pechino aveva messo in guardia Hanoi chiarendo che, in caso di aggressione contro la Cambogia, non avrebbe esitato a portare aiuto al loro alleato. La Cina d'altra parte con la visita a Washington di Den Xiaoping si era assicurata anche l'assenso degli Stati Uniti nella cui strategia un conflitto sino-vietnamita avrebbe sicuramente contribuito ad arrestare la penetrazione sovietica nel Sud-Est asiatico, in ossequio alla famosa teoria del "domino" enunciata da Kissinger. Pechino decise quindi di "dare una lezione" al Vietnam e all'alba del 17 febbraio 1979 non meno di 600.000 soldati cinesi entrarono in Viet Nam dalle valli di Lang Son e di Lao Cai ma dopo una breve avanzata furono arrestati dalle milizie territoriali che inflissero ai Cinesi pesanti perdite valutate in circa 25.000 uomini e 500 tra mezzi blindati e pezzi di artiglieria. Dopo quattro settimane di accaniti combattimenti Pechino ordinò il ripiegamento oltre frontiera delle sue truppe che ritirandosi fecero terra bruciata distruggendo 320 villaggi e devastando le quattro città di Lang Son, Cao Bang, Lao Cai e Cam Duong. Questo "incidente" sulla frontiera Nord non distolse i Vietnamiti dalla loro azione in Cambogia dove i circa 25.000 Khmer rossi ripiegati verso la frontiera thailandese offrivano una tenace resistenza ed avevano trovato insperati alleati fra quelli che erano stati i loro nemici di un tempo e che, come loro, trovavano una base d'appoggio e di reclutamento fra le decine e decine di migliaia di Cambogiani rifugiatisi nei campi profughi della Thailandia. Dopo i Khmer rossi di Pol Pot la forza più consistente era il Fronte nazionale di liberazione del popolo khmer, o "Khmer bianchi", il cui leader era Son Sann e che riuniva i gruppi che avevano sostenuto il colpo di Stato di Lon Nol nel 1970 e che erano poi stati cacciati dai Khmer rossi nel 1975. La terza forza, più esigua numericamente ma più importante politicamente, era il Movimento di liberazione nazionale della Cambogia guidata dal principe Sihanouk che nel 1970 era stato abbattuto dagli uomini di Lon Nol e che in seguito era stato alleato dei Khmer rossi nella guerra contro il governo di Lon Nol, era diventato poi Capo dello Stato di Kampuchea Democratica ed infine era stato posto in residenza sorvegliata nel Palazzo reale di Phnom Penh. Era una coalizione estremamente eteroclita di antichi nemici che ora dimenticavano le loro sanguinose lotte fratricide e si trovavano riuniti per combattere un atavico nemico comune: i Vietnamiti ed il governo insediato a Phnom Penh. La loro natura composita assicurava un ampio arco di alleanze e di sostegni che arrivavano loro principalmente dai Paesi dell'ASEAN, dagli Stati Uniti, dalla Cina e dalla stessa ONU. Il 21 settembre l'Assemblea generale dell'ONU stabilì che solo il governo di Kampuchea Democratica rappresentava legalmente la Cambogia e il 14 novembre la stessa Assemblea generale condannò la "aggressione" vietnamita e decretò un embargo anche per gli aiuti umanitari alla Cambogia. Per 11 anni, fino al 1990, il governo di Pol Pot conservò il seggio all'ONU, come legittimo rappresentante del popolo cambogiano.

Al Laos furono risparmiate queste sanguinose conseguenze della lotta di liberazione nazionale ma anche qui i problemi da risolvere furono enormi. Il potere effettivo era nelle mani del Partito Popolare Rivoluzionario Lao, in realtà un partito comunista filovietnamita e quindi di stretta osservanza sovietica, il cui segretario generale Kaysone Phomvihane assunse la carica di primo ministro e dovette come prima cosa affrontare il drammatico problema della ricostruzione di un paese che era stato lacerato da decenni di guerra e la cui primitiva economia agricola era stata praticamente distrutta dagli oltre due milioni di tonnellate di bombe rovesciate dall’aviazione statunitense nell’inutile tentativo di annientare il Pathet Lao e interrompere la Pista di Ho Chi Minh. L’esodo di quasi 400.000 persone fra le quali si contavano quasi tutti gli appartenenti ai ceti medi professionali, imprenditoriali e commerciali, privava il paese di insostituibili risorse umane e intellettuali e rendeva ancora più difficile la ripresa. Il governo adottando radicali e intempestive misure di nazionalizzazione di tutto il settore privato e collettivizzazione dell’agricoltura, non fece altro che aggravare la situazione. Nel 1979, di fronte al disastro incombente, il governo dovette fare autocritica e, molto pragmaticamente, prendere atto del fatto che non è possibile imporre a un paese dalle ancestrali tradizioni un sistema economico e sociale importato dall’estero e che, in ogni caso, è impossibile ripartire equamente la ricchezza se non si produce nessun profitto. Il primo atto fu quello di consentire la rinascita di piccole imprese agricole e commerciali nelle campagne, ma il grosso dei terreni coltivati a riso restavano affidati alle cooperative statali che ripartivano il beneficio in tre parti: lo Stato, il villaggio e i singoli coltivatori. La moneta, il Kip, venne lasciata fluttuare per adeguarsi alla legge della domanda e dell’offerta. Queste prime riforme aprirono al Laos la porta degli aiuti internazionali che già a partire dal 1980 arrivavano a coprire il 78 % del bilancio dello Stato.

La situazione era ancor più grave per il Vietnam che poteva far conto solo sull'aiuto dei Paesi comunisti sia per sostenere la sua guerra in Cambogia sia, soprattutto, per fare fronte ad una gravissima situazione interna. La riunificazione infatti si era portata dietro il pesante fardello del reinserimento di ampi strati della popolazione del Sud, la corruzione aveva preso piede anche nell'austero Nord, l'inflazione aveva raggiunto tassi a tre cifre, l'economia in generale e la produzione in particolare stagnavano. La questione cambogiana contribuiva ad aggravare la situazione per il pesante onere che derivava dagli aiuti al governo di Phnom Penh e dal mantenimento di una forte forza militare che ancora non era riuscita a eliminare il rischio di un ritorno al potere di Pol Pot e dei suoi alleati. All'inizio della stagione secca 1984-1985 Hanoi decise una offensiva generale contro i campi posti al confine thailandese, alla fine del mese di febbraio la resistenza non disponeva più di alcuna base logistica ma non era stata debellata e continuava a godere dell'appoggio del mondo occidentale e della Cina. Il Viet Nam decise allora di fare un passo verso il disimpegno e, considerato che l'esercito regolare cambogiano forte di 250.000 uomini armati dai Sovietici e addestrati dai Vietnamiti stessi pareva ormai in grado di garantire la difesa del Paese, decise un piano di ritiro graduale di tutte le sue forze entro 5 anni, adeguandosi alla risoluzione 35/6 del 2 ottobre 1980 delle Nazioni Unite che prevedeva la convocazione di una conferenza di pace, l'invio di una forza di mantenimento della pace dell' ONU, il ritiro delle truppe straniere, il disarmo di tutte le fazioni e l'organizzazione di libere elezioni. Questa scelta parve quasi obbligatoria per il Viet Nam che si dibatteva in una drammatica crisi economica e sociale. La morte il 10 luglio 1986 del Segretario generale Le Duan, uomo della vecchia generazione della lotta di liberazione, e l'elezione del riformista Truong Chinh facilitò un rinnovamento che trovò immediato riscontro nella risoluzione finale del VI Congresso che riconoscendo nel passato gravi errori affermava "la necessità di radicale riforma nelle strutture economiche e nel modo di gestione, abolendo il regime di gestione centralizzata burocratica per mettere in piedi progressivamente un'economia di mercato". Fece seguito una legge che promuoveva gli investimenti stranieri e tutta una serie di provvedimenti che restauravano di fatto la piccola proprietà terriera e la libertà di commercio. Nel 1989, finalmente, si registrò un moderato arresto della spirale inflazionistica e per la prima volta il Paese esportò un milione e mezzo di tonnellate di riso mentre, nel mese di settembre, fu completato il ritiro delle truppe dalla Cambogia con il conseguente disgelo delle relazioni internazionali. Le difficoltà erano però ancora enormi. Nel giugno 1991 si svolsero i lavori del VII Congresso del Partito che, eletto Do Muoi Segretario generale, lanciò la politica del Doi moi, il "Rinnovamento", il cui punto chiave nel settore economico era "lo sviluppo di un'economia di mercato a plurime componenti: di Stato, collettiva e privata per l'edificazione di una struttura industriale, agricola e di servizi aperta alla cooperazione economica con l'estero in un quadro di relazioni amichevoli con tutti i Paesi, senza distinzione di regime socio-politico". Come prima immediata conseguenza di questa svolta nel 1992 gli investimenti stranieri in Viet Nam raddoppiarono rispetto all'anno precedente. Nel 1994 gli Stati Uniti posero fine all'anacronistico embargo contro il Viet Nam che avevano imposto negli anni della guerra e l'anno seguente furono ristabilite le relazioni diplomatiche fra i due Paesi ponendo ufficialmente fine ad un conflitto mai dichiarato ma ufficiosamente iniziato 45 anni prima. Neppure un mese dopo il Viet Nam diventava membro dell’ASEAN.

Un cammino non dissimile da quello vietnamita è stato quello che ha percorso il Laos dove nel 1986 cominciò una stagione di riforme più radicali con l’apertura agli investimenti stranieri e la progressiva privatizzazione di molte imprese statali. La svolta economica trovò sostegno nella nuova Costituzione, approvata il 14 agosto 1991, che comunque riaffermava il ruolo dirigente del Partito Popolare Rivoluzionario Lao che restava l'unica istanza politica del paese ma venne anche deciso che nel simbolo nazionale la falce e martello sormontati da una stella fossero sostituiti dalla sacra immagine del grande stupa buddhista di That Luang e fu nel recinto del That Luang che nel 1995 venne posta l'urna contenenti le ceneri del primo Presidente della Repubblica Democratica del Popolo Lao, il principe Souphanouvong. In economia, i primi e timidi accenni di liberalizzazione cominciarono a portare i loro frutti e nel decennio 1987-97 si registrò un tasso di crescita annuo mediamente del 7/8 % ma l'economia nazionale restava fortemente dipendente dagli aiuti economici esteri che, in quegli anni, rappresentavano circa l'80% delle risorse dello stato. Una vera e sostanziale svolta nella politica interna e estera del Laos avvenne solo nel luglio 1997 con l'ingresso del paese nel ASEAN.  

Molto più lunga e dolorosa era la strada che doveva ancora affrontare la Cambogia dove nel 1989 ci fu il ritiro totale delle truppe vietnamite e la Repubblica popolare di Kampuchea diventò Stato di Cambogia adottando una nuova Costituzione con la quale fu abolita la pena di morte e il buddhismo venne dichiarato religione di Stato. Fu instaurate la proprietà privata e l'economia di mercato e venne cancellato ogni riferimento al "socialismo" mentre si dichiarava il non-allineamento e la neutralità della Cambogia. Il 30 luglio si aprirono a Parigi i lavori della Conferenza di Pace presieduti da Francia e Indonesia ma mentre a Phnom Penh veniva proiettato il film "Urla del silenzio" (Killing Fields) l'Assemblea generale dell'ONU rinnovava il suo voto di condanna del governo di Phnom Penh, mantenendo l'embargo. Le trattative di pace languivano mentre continuavano i combattimenti fra le fazioni. Negli Stati Uniti lo stesso ex-capo della CIA William Colby accusò il governo di contribuire al ritorno al potere dei Khmer rossi. Da una audizione del Senato USA si apprese che gli Stati Uniti avevano versato 24 milioni di dollari alle forze monarchiche e liberaldemocratiche mentre la Cina aveva erogato 100 milioni ai Khmer rossi ed il senatore J.F.Kerry denunciò che "i Khmer rossi sono i primi beneficiari della politica americana". Le opposte fazioni cambogiane trovarono finalmente un accordo per costituire il Consiglio Nazionale Supremo che comprendeva rappresentanti di tutte le parti. Nel 1990 il seggio all'ONU venne dichiarato vacante e dopo 11 anni ebbe fine l'embargo contro la Cambogia. Il 23 ottobre 1991 furono firmati a Parigi gli Accordi di pace per l’attuazione dei quali tutti i poteri vennero conferiti all'Autorità Provvisoria delle Nazioni Unite in Cambogia, UNTAC, che contava 2.432 esperti civili, 15.100 “caschi azzurri” e 3.600 poliziotti fra i quali c’era anche un contingente di Carabinieri italiani. I Khmer rossi respinsero l’accordo di "cessate il fuoco" e occuparono le zone montagnose di Pailin, Anlong Veng e Preah Vihear ma il processo democratico era ormai in cammino. Nel 1993 si tennero le elezioni dell’Assemblea costituente e il Partito monarchico e il Partito del Popolo Cambogiano, l’ex-partito comunista filovietnamita, si divisero la maggioranza dei seggi. Fu approvata la Costituzione che dice che la Cambogia è una monarchia parlamentare “di democrazia liberale pluralista” dove il re regna ma non governa. Sihanouk divenne re il 24 settembre.  Per tutto il 1994 continuarono gli attacchi portati dai Khmer rossi e il 7 luglio la Assemblea nazionale li mise fuorilegge ma nel 1996 Ieng Sary, l'Amico Numero 3, si "riallineò" con il governo e fu libero di rientrare a Phnom Penh. Il 15 aprile 1998 Pol Pot morì per un malessere cardiaco e a dicembre si "riallinearono" Nuon Chea, l'Amico Numero 2, e Khieu Samphan. Alle elezioni politiche del luglio 1998 il PPC ottenne il 41,4 % dei voti conquistando con 64 seggi la maggioranza dell’Assemblea nazionale e divenne Primo ministro Hun Sen, l’uomo che disertando nel 1977 aveva dato inizio alla resistenza armata contro Pol Pot. Cessarono finalmente gli scontri armati, dopo 29 anni e 4 mesi tornava la pace in Cambogia e poteva iniziare la ricostruzione del paese.

La situazione generale nel Sud-Est asiatico non era però facile in quegli anni ed anche il Laos che contava sugli effetti benefici del suo ingresso nell’ASEAN dovette constatare che, sul piano economico, i benefici indotti da questa “apertura” furono uccisi sul nascere dalla esplosiva crisi economica e finanziaria che colpì la Thailandia in quello stesso anno e che ebbe ripercussioni su tutti i mercati dei paesi asiatici. Il Laos pagò probabilmente il prezzo più alto perché la Thailandia era, ed è, il suo solo possibile sbocco sul libero mercato occidentale. La crisi fu gravissima e di lunga durata ma ora pare che il Laos la abbia completamente superata tanto che nel 2012 il tasso di crescita ha raggiunto l'8,3 % annuo. Sul piano politico e sociale, l'ingresso nell'ASEAN ha prodotto benefici immediati e duraturi. L'Assemblea Nazionale, per mantenersi al passo con le veloci mutazioni di uno spazio geografico che ha reso permeabili le frontiere interne, sta colmando i vuoti legislativi che avevano afflitto il vecchio Stato burocratico. Il ritardo accumulato era enorme: nei venti anni trascorsi tra il 1975 e il 1995 l'Assemblea Nazionale era riuscita a approvare solo 8 testi di legge, ivi compresa la Costituzione. Dopo di allora sono state approvate importanti leggi quadro, fra le quali la riforma commerciale con la normativa inerente gli investimenti stranieri. Oggi, le frontiere si sono totalmente aperte al transito delle persone e delle merci e, ricordando le lungaggini burocratiche dei transiti di frontiera in anni non troppo lontani, si resta quasi attoniti nel vedere come a Vientiane, sul Ponte dell'Amicizia, o al valico di Vang Tao, presso Pakse, Laotiani e Thailandesi, insieme a cittadini di ogni nazionalità, senza alcuna formalità passino da un lato all'altro della frontiera per fare acquisti nelle vaste aree commerciali che sono sorte su entrambi i lati.

Molto più veloce, quasi vertiginosa è stata invece la crescita del Vietnam grazie alle sue risorse naturali ed alla straordinaria capacità lavorativa di una popolazione che oggi supera i 92 milioni di persone. La cronaca ci parla di un paese che ha visto il proprio PIL segnare che per anni un incremento annuo a due cifre e che anche nel 2012 ha segnato un confortante + 5,2 %. La stabilità politica ha indubbiamente favorito lo sviluppo economico. Anche se ha conservato lo storico nome di Partito Comunista, il partito al potere non ha più nulla di marxista. Persegue una politica economica liberista con un moderato controllo dello Stato su alcuni settori strategici in una visione quasi keynesiana dell’economia ma nella politica interna il Partito si pone oggi come la dinastia imperiale si poneva nella società confuciana. Esercita il potere in modo assoluto e nessuno ha il diritto di metterlo in discussione ma, in cambio, lascia ognuno libero di esercitare i propri commerci e di arricchirsi secondo le proprie capacità. Quello vietnamita è oggi un moderno Stato neoconfuciano non molto dissimile dalla Cina.

In Cambogia la stabilità politica instauratasi dopo il 1998 ha consentito al paese di iniziare il processo di ricostruzione. Sono state apportate delle modifiche alla Costituzione sancendo la fine dell'emergenza postbellica e si è completato il sistema bicamerale eleggendo il Senato che integra e completa le funzioni della Assemblea Nazionale. L'ingresso nell'ASEAN, nel 1999, ha aperto alla Cambogia i mercati regionali e la successiva adesione all'Organizzazione Mondiale del Commercio ha aperto nuove prospettive alla esportazione del riso la cui produzione è in costante crescita. Le elezioni politiche del luglio 2008 hanno riconfermato una solida maggioranza del 60,4 % del CPP garantendo così un altro quinquennio di stabilità politica. La Cambogia continua a vivere un periodo di forte sviluppo iniziato nel 2005 quando il tasso di crescita annuo del PIL fu del +13%. La tendenza, pur con flessioni, si è confermata negli anni successivi: nel 2008 era ancora del + 10,1 e nel 2012, malgrado la generalizzata crisi mondiale, ha ancora toccato il + 6,5 %. Sono dati confortanti in termini percentuali ma che restano “poveri” in valori assoluti e non devono far pensare a miracolosi processi di sviluppo perché lo stato di complessiva arretratezza dell’economia cambogiana è ancora estremamente preoccupante soprattutto per quel che riguarda la totale dipendenza dall’estero per le fonti energetiche. Il governo ha fissato come priorità strategica lo sviluppo dell’agricoltura mantenendo la piccola proprietà, anche per prevenire le disastrose forme di inurbamento che hanno distrutto il tessuto socio-economico di molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Con la morte di Sihanouk il 15 ottobre 2012 si è chiuso un capitolo della storia della Cambogia. Dopo avere occupato la scena politica del paese per 63 anni Sihanouk aveva lasciato nel 2004 e il 29 ottobre il Consiglio del Trono aveva designato come nuovo sovrano Sihamouni, uomo di grande integrità morale. La Cambogia di oggi guarda in avanti e gli spettri del passato sono ormai scomparsi anche dalla memoria della gente. Dopo infiniti ritardi, polemiche e ripensamenti ha iniziato i suoi lavori il Tribunale speciale istituito per giudicare i crimini commessi sotto il regime di Kampuchea Democratica. Deuch, il direttore del carcere S21 è stato condannato a 35 anni di reclusione ma Ta Mok era già deceduto in carcere prima dell’inizio del processo ed ora è morto anche Ieng Sary. Tutto ciò accade fra la totale indifferenza dei Cambogiani che però si chiedono perché la cosiddetta “comunità internazionale” si sia svegliata solo oggi, 30 anni dopo che quel regime fu abbattuto e questa stessa “comunità internazionale” punì il popolo cambogiano con l'embargo e per 11 anni consentì ai leader dei Khmer Rossi di continuare a frequentare il palazzo dell'ONU e le sedi dei loro governi.

Qui finisce la Storia e comincia la cronaca.