Venti secoli di guerre con la Cina
 
Cominciò nell’anno 111 prima di Cristo, quando gli eserciti della dinastia Han occuparono la valle del Fiume Rosso ed espugnarono Co Loa, la capitale del regno del Nam Viet, il "Paese dei Viet meridionali". Per 1050 questa fu la provincia meridionale del grande Impero cinese, ma furono secoli di  continue rivolte contro l’intollerabile l'organizzazione burocratica e i carichi fiscali imposti dal governo imperiale resi, spesso, ancor più gravosi dall’esosità degli amministratori locali. Restano nella memoria le rivolte delle sorelle Trung, nel 40 dopo Cristo, della Dama Trieu, due secoli più tardi, di Ly By, nel 542. Dal 687 al 820 scoppiarono quattro successivi moti insurrezionali che furono ogni volta stroncati fino a che nel 938 Ngo Quyen riportò una decisiva vittoria nello scontro navale alla foce del Bach Dang, che sfocia nella Baia di Ha Long. I Vietnamiti distrussero la flotta cinese ricorrendo a uno stratagemma che tre secoli e mezzo più tardi fu nuovamente utilizzato per affondare la flotta dei Mongoli di Qubilai Khan. Dei tronchi con un puntale di ferro furono piantati sul fondo del fiume e quando furono coperti dall'alta marea una flottiglia vietnamita mosse a provocare le navi cinesi inducendole all'inseguimento sul corso del fiume. Mentre la marea iniziava a calare, i Vietnamiti contrattaccarono e costrinsero i Cinesi a ripiegare verso il mare aperto ma, giungendo alla foce, le loro navi finirono sui puntali dei tronchi. Molte affondarono e le altre furono distrutte dalle truppe vietnamite che attaccavano da terra. L’esercito cinese dovette abbandonare tutta la valle del Fiume Rosso. Un anno dopo, nel 939, Ngo Quyen si proclamò re e installò la capitale nel sito dell’antica Co Loa. E’ l’indipendenza ma non è la pace. Nel 979 sale al trono Le Dai Hanh, che respinge un attacco cinese e risponde anche a un tentativo di invasione condotto da sud dai Cham. Alla sua morte, nel 1009, sale al trono Ly Thai-to, capostipite della dinastia dei Ly. Per duecento sedici anni la dinastia Ly resse le sorti del Paese costruendo le basi della nuova autorità monarchica, consolidando le istituzioni, rafforzando l'esercito e ponendo le basi economiche per un successivo sviluppo. Nel 1010 trasferì la capitale nel sito della attuale Hanoi, dandole il nome di Thang-long, (città del) “Dragone che si leva in volo”. Nel 1054, il suo successore Ly Thanh-tong diede al Paese un nuovo nome: Dai Viet, il "Grande Paese dei Viet", e il nome restò tale fino al 1802 quando divenne quello che oggi noi conosciamo: Viet Nam, il "Paese del Sud dei Viet". Nel 1226 ci fu un cambio dinastico e salì al trono Tran Thai-tong che regnò per 32 anni. Stava però addensandosi sul Dai Viet un nuovo grande pericolo. Nel 1215 Gengis Khan aveva conquistato Pechino, stendendo le mani su tutta la Cina. I suoi successori Ogodei e Mongke completarono la sua opera e infine Nel 1279 Qubilai Khan, il "Grande Cane" di Marco Polo, fondò la dinastia mongola degli Yuan. Qubilai voleva scendere a sud e occupare il Champa per farne una base da cui muovere alla conquista dei ricchi regni insulari di Giava e Sumatra, per controllare le vie marittime del ricchissimo commercio delle spezie. Qubilai nel 1283 tentò una manovra aggirante inviando via mare un corpo di spedizione, comandato da Sogetu, a occupare il Champa. L'esercito cham si ritirò sulle montagne lasciando la capitale Vijaya e tutte le città costiere ma colpendolo con incessanti attacchi il nemico. Una flotta inviata con rifornimenti e rinforzi fece naufragio e i Mongoli furono costretti a ripiegare a settentrione verso la frontiera vietnamita, per cui divenne scelta obbligata per Qubilai forzare il passaggio a Nord invadendo il Dai Viet e affidò al figlio Toghan il comando della spedizione. Nell'inverno del 1284 l'esercito mongolo passò la frontiera e Tran Hung-dao, che aveva assunto il comando, ordinò una ritirata generale`. I Mongoli si impadronirono di Thang-long lasciata deserta. Iniziò una guerra di logoramento condotta dai Vietnamiti con rapide azioni di guerriglia e incursioni che tagliavano i collegamenti del nemico. Il migliore alleato di Tran Hung-dao si rivelò il clima che fiaccò le resistenze di un esercito cui, anche in questo caso, venivano a mancare i rifornimenti. Una rapida azione della flotta sul Fiume Rosso costrinse Toghan a una precipitosa ritirata. L'esercito di Sogetu salito al Nord per congiungersi con le altre truppe mongole fu intercettato e distrutto e lo stesso Sogetu trovò la morte. Nell'agosto 1285 il Dai Viet poteva festeggiare la vittoria, ma la partita non era ancora chiusa. Qubilai nel 1287 affidò nuovamente al figlio Toghan il comando di un potente esercito e di una flotta di 500 giunche da guerra per liquidare il conto con il Dai Viet. Tran Hung-dao seguì nuovamente la sua strategia di ritirata, nell'attesa che le azioni di guerriglia fiaccassero la resistenza del nemico. Un convoglio di rifornimenti fu intercettato e l'esercito di Toghan fu costretto a ritirarsi. Le truppe che seguirono Toghan via terra furono decimate dagli attacchi portati dai Vietnamiti sui valichi montani. Le altre forze che si erano imbarcate sulle navi che scendevano il Fiume Rosso furono attirate nello stesso tranello dei pali conficcati sul fondo del fiume utilizzato da Ngo Quyen nel 938. Nella battaglia svoltasi il 3 aprile 1288 furono distrutte cento giunche da guerra e tutte le altre furono catturate. Fu pace sulla frontiera nord, ma solo per cento diciotto anni. Nel 1400, Ho Quy Ly, depose l'inetto ultimo sovrano della dinastia Tran e si proclamò re adottando severe misure di risanamento dello Stato.  Molti grandi proprietari terrieri, tradendo gli interessi nazionali, reagirono chiedendo l'intervento della Cina dove, nel 1368, la dinastia dei Ming aveva abbattuto i Mongoli e perseguiva una politica di penetrazione verso i mari meridionali. Al finire del 1406 i Cinesi scendendo dallo Yunnan e da Lang-son con una manovra a tenaglia investirono Thang-long che fu presa e saccheggiata e nell'estate del 1407 tutto il Dai Viet era tornato a essere una provincia dell’Impero cinese.  Il malcontento e l'opposizione al dominio cinese era estesa a tutti gli strati sociali e ne seppe trarre vantaggio il liberatore del Paese Le Loi, una figura diventata quasi mitica nella storia del Vietnam. Era un signorotto di campagna di Lam-son, nella regione montana della provincia di Thanh-hoa, che godeva di un certo consenso popolare e che ebbe, soprattutto, l'accortezza di mettersi a fianco Nguyen Trai, grande poeta e padre della lingua vietnamita ma anche fine diplomatico e accorto stratega. Le Loi prese le armi nel 1418 e iniziò a martellare le posizioni cinesi con incessanti azioni di guerriglia. Sfruttò nel modo migliore l'appoggio di tutta la popolazione che gli assicurava anche un forte reclutamento di uomini. Costrinse i Cinesi alla difensiva e li assediò in Thanh-long costringendoli poi alla resa. Nel 1426, Le Loi, assunto il nome di Le Thai-to, entrò nella capitale Thang-long di cui cambiò il nome in Dong-kinh, la “Capitale dell’Est”, da cui i Portoghesi trassero Tonkin che divenne in seguito il Tonchino che noi conosciamo. La dinastia Le governò il paese per più di tre secoli e mezzo, distruggendo il regno del Champa ed estendendone i confini meridionali, ma già dagli inizi del XVI secolo aveva dovuto delegare l’effettivo esercizio del potere a due potenti famiglie nobiliari: i Trinh che dominavano nel nord del paese e i Nguyen, che erano padroni delle regioni centrali e spingevano le loro mire fino al delta del Mekong. Fu una lunga guerra civile che ebbe termine solo quando, nella provincia centrale di Binh Dinh, scoppiò una violenta rivolta contadina guidata dai "fratelli Tay Son". Sbarazzatisi dei signori Nguyen, i Tay Son si rivolsero contro i Trinh. Nguyen Hue (che non aveva alcuna parentela con i signori Nguyen) era il nome del capo militare e politico dei Tay Son e nel 1786 li condusse oltre il Colle delle Nuvole ed entrò da vincitore in Dong-kinh. Il re Le Chieu-thong gli diede in sposa la propria figlia ma, nel contempo, intendeva riprendere il potere effettivo. Tradendo, anche lui, gli interessi nazionali Le Chieu-thong chiese l'aiuto dell'Impero cinese sul quale regnava la dinastia manciù dei Qing. Sul finire del 1788 un esercito di 200.000 uomini scese nel Dai Viet e i Tay Son timorosi di affrontare uno scontro campale preferirono abbandonare Dong-kinh ritirandosi nella montagnosa regione di Thanh-hoa. Nguyen Hue si proclamò re, assumendo il nome di Quang-trung, e iniziò una campagna di guerriglia che, progressivamente, costrinse l'esercito cinese a ritirarsi all'interno delle fortificazioni della capitale. Vi pose l'assedio quando era ormai prossima la festività del Tet dell’anno 1789. Mentre la vigilanza dei difensori si era allentata per la festa, Quang-trung lanciò l'assalto alle fortificazioni e si impadronì della capitale costringendo l'esercito cinese a una disastrosa ritirata.
Venne poi la lunga guerra di liberazione nazionale contro i Francesi, prima, e gli Americani, poi. Dal 1949 la Cina di Mao fornì un importante aiuto economico e, soprattutto militare, al Vietnam ma, dopo il 1975, lo scenario politico internazionale cominciò a mutare. La diatriba ideologica tra Mosca e Pechino era diventata uno scontro aperto che condusse anche alla breve, ma violentissima, guerra sul fiume Ussuri. I viaggi di Kissinger e Nixon a Pechino avevano gettato le basi per una nuova alleanza e il Vietnam aveva rinsaldato i suoi legami con l’Unione Sovietica. La situazione sulla frontiera meridionale, al confine con la Cambogia, diventava sempre più allarmante perché il regime di Pol Pot aveva intensificato gli attacchi alle ricche zone risicole, nella terra chiamata dai Cambogiani Kampuchea Kraom, cioè "Cambogia meridionale”, che un tempo era appartenuta all’Impero di Angkor e che continuava a essere abitata da una forte minoranza khmer. Questi attacchi provocarono la distruzione di 121 villaggi e 100.000 ettari di colture, costringendo all’esodo 257.000 persone. A queste incursione l'esercito vietnamita rispondeva con pari determinazione inoltrandosi spesso anche oltre la linea di frontiera e portando con se durante la ritirata migliaia di cambogiani che fuggivano dalla fame e dalla disperazione del regime imposto dal Pol Pot. Alla deflagrazione di questo conflitto di frontiera non erano certamente estranee le pressioni esercitate su Phnom Penh dalla Cina, unico fornitore di armi e aiuti del regime polpottista. Pechino infatti non poteva non desiderare di vedere impegnate nel Sud le migliori unità da combattimento di un esercito che allora era il sesto al mondo per potenza di fuoco, nel timore di un accerchiamento da parte dei Vietnamiti sul fronte meridionale mentre le sue forze dovevano fronteggiare l'armata sovietica sul confine settentrionale dell'Ussuri. Alcuni comandanti militari cambogiani, primo dei quali fu Hun Sen, avevano defezionato con i loro soldati passando la frontiera e costituendo un Fronte unito nazionale per la salvezza del popolo khmer che dava a Hanoi la copertura politica per un intervento militare che ormai era già stato deciso e che si attendeva di realizzare non appena fossero maturate le condizioni. A luglio del 1978 Pechino decise la cessazione degli aiuti al Vietnam, ritirò i propri tecnici ed espulse gli studenti vietnamiti. Hanoi rispose accentuando la pressione sul milione e mezzo di cittadini di origine cinese, gli Hoa, settecentomila dei quali vivevano nel quartiere commerciale di Cholon a Saigon e altri 200.000 nella provincia frontaliera di Quang Ninh. Cresceva il timore di un conflitto e iniziò un esodo che divenne poi una drammatica fuga che sfociò nella tragedia dei "boat people" respinti da ogni approdo del Sud-Est asiatico e rimandati in Vietnam o internati in campi profughi. Mentre la Cina ammassava truppe sulla frontiera settentrionale il Vietnam si muoveva alla ricerca di una tutela internazionale e, dopo l'adesione al COMECON nel mese di giugno, stipulò nel dicembre 1978 un "patto di amicizia e di reciproca assistenza" con l'Unione Sovietica, il che voleva dire una alleanza militare con tutto il Patto di Varsavia. I tempi erano ormai maturi per la guerra e l'occasione fu fornita da un violento attacco portato in quello stesso mese di dicembre dai Khmer rossi contro la regione di Tay Ninh. Il giorno di Natale, quattro colonne formate da quattro divisioni vietnamite che inquadravano 125.000 uomini appoggiati da carri T54 sovietici e da trasporti blindati entrarono in Cambogia. Alla loro testa, con compiti di ricognizione e per tranquillizzare la popolazione spiegando che scopo della guerra era abbattere il regime polpottista, procedevano i circa 20.000 uomini di Heng Sarim e Hun Sen. Le città capoluogo delle province orientali capitolarono velocemente e il 7 gennaio 1979 le truppe entrarono in Phnom Penh. Il governo di Pechino aveva messo in guardia Hanoi chiarendo che, in caso di aggressione contro la Cambogia, non avrebbe esitato a portare aiuto al loro alleato. La Cina d'altra parte con la visita a Washington di Den Xiaoping si era assicurata anche l'assenso degli Stati Uniti nella cui strategia un conflitto sino-vietnamita avrebbe sicuramente contribuito ad arrestare la penetrazione sovietica nel Sud-Est asiatico, in ossequio alla famosa teoria del "domino" enunciata già da Eisenhower  nel 1954. Pechino decise quindi di "dare una lezione" al Vietnam e all'alba del 17 febbraio 1979 non meno di 600.000 soldati cinesi entrarono in Vietnam dalle valli di Lang Son e di Lao Cai ma dopo una breve avanzata furono arrestati dalle milizie territoriali che inflissero ai Cinesi pesanti perdite valutate in circa 25.000 uomini e 500 tra mezzi blindati e pezzi di artiglieria. Dopo quattro settimane di accaniti combattimenti Pechino ordinò il ripiegamento oltre frontiera delle sue truppe che ritirandosi fecero terra bruciata distruggendo 320 villaggi e devastando le quattro città di Lang Son, Cao Bang, Lao Cai e Cam Duong. Questo "incidente" sulla frontiera Nord non distolse i Vietnamiti dalla loro azione in Cambogia e solo nel 1989 fu completato il ritiro delle truppe con il conseguente disgelo delle relazioni internazionali.