Un “comunismo” nazionale asiatico
 
Ho Chi Minh con Enrico Berlinguer
Le categorie di pensiero così come quelle politiche del mondo occidentale e dell'Europa, soprattutto, sono profondamente diverse da quelle dell'estremo Est asiatico. Anche le parole assumono talora significati differenti; così quando un thailandese parla di "rispetto della figura del sovrano" non intende assolutamente la stessa cosa che potrebbe pensare un suddito del re di Spagna. Questa differenza diventa ancora più marcata allorché si riflette sul significato reale di concetti politici come democrazia, socialismo o comunismo. Nel 1955 Sihanouk fondò un “suo” partito che chiamò Comunità Popolare Socialista. In Birmania, nel 1962, ci fu un colpo di stato dei militari che proclamarono la “via birmana al socialismo”. E’ evidente che il “socialismo” di Sihanouk o dei generali birmani, non aveva nulla a che vedere con quello di Filippo Turati di Pietro Nenni; così come il comunismo di Mao aveva solo una lontanissima parentela con la linea politica perseguita da Togliatti e Berlinguer. Anche quando parliamo di comunismo vietnamita dobbiamo quindi porre molta attenzione a quelle che sono state le sue matrici originarie e alle condizioni storiche in cui si è sviluppato e poi si è affermato come partito unico di potere. Parlare di comunismo vietnamita vuol dire inevitabilmente parlare di Ho Chi Minh che del Dang cong san Viet Nam è stato il fondatore e l'ideologo. Ho Chi Minh nasce nel 1892 e passa gli anni della gioventù nel clima di forte tensione politica e sociale nata dalla decisa opposizione che molti intellettuali e letterati vietnamiti manifestavano nei confronti della dominazione coloniale francese. In quegli anni, infatti, il suo nome era Nguyen Ai Quoc, "Nguyen il Patriota", e come patriota il suo impegno era volto principalmente alla lotta per la conquista dell'indipendenza nazionale. E' un viet, è parte del popolo viet, e vuole che questo suo popolo sia libero da ogni dominazione straniera, coerentemente con la secolare tradizione nazionalista della sua gente. Il sovvertimento e il declino della cultura e della società nazionale, la dominazione economica straniera, l'impossibilità di creare e far crescere una nuova classe dirigente indipendente, la condiscendenza se non il disprezzo ostentato dai "padroni stranieri", l'imposizione di modelli culturali estranei alle tradizioni del popolo, sono tutti elementi che concorrono a far radicare il profondo convincimento della necessità di una lotta di massa per l'autoaffermazione nazionale. Questo stadio di "militanza nazionalista" si evolve e viene superato solo quando Nguyen Ai Quoc si reca proprio nella terra dei nemici del suo popolo, dei colonialisti francesi. Qui, aderendo al Congresso di Tours del 1920 al nascente Partito Comunista Francese, comprende che alla liberazione nazionale è intimamente connessa l'emancipazione economica e politica delle grandi masse popolari, che in Vietnam sono ancora solo i contadini. Gli intellettuali nazionalisti di quei primi anni del secolo avevano fallito perché avevano rinunciato a crearsi un appoggio popolare di massa che sostenesse la lotta per l'indipendenza nazionale. Inizia così l'itinerario politico di colui che non è più "Nguyen il Patriota" ma è diventato Ho Chi Minh, il dirigente politico che la III Internazionale, il cosiddetto Comintern, invia in Cina, ai confini con il suo Vietnam. Rientra in patria ormai completamente convertito all'ideologia marxista-leninista e su queste basi organizza e dirige la lotta di liberazione contro Francesi e Americani. Non ha però del tutto dimenticato le sue origini culturali e politiche, né la storia secolare del suo popolo. Il nazionalismo vietnamita, prima di doversi misurare con le potenze occidentali, si era sempre scontrato con le tendenze espansionistiche dell'Impero cinese. Non ostante gli aiuti militari ed economici ricevuti dalla Cina di Mao, già ai tempi della Conferenza di Ginevra del 1954, i Vietnamiti accusarono i Cinesi di aver bloccato la loro lotta di liberazione di tutto il paese, arrestandoli sulla linea del 17° parallelo, per costituire uno stato cuscinetto che proteggesse i confini meridionali della Cina da possibili aggressioni militari americane: una sorta di "marca di frontiera", come era stato anticamente il Giao-chi. La contesa ideologica tra URSS e Cina si inasprì ma i Vietnamiti non entrarono mai nel merito del dibattito ideologico e politico. Nel 1963 rifiutarono però di aderire alla proposta cinese di una conferenza di 11 partiti comunisti, prevalentemente asiatici, perché paventavano che così potesse nascere una nuova Internazionale, alternativa al Patto di Varsavia, che sarebbe inevitabilmente caduta sotto la leadership cinese. I motivi di contrasto aumentarono agli inizi degli anni ’70, quando La Cina manifestò le sue prime aperture agli Stati Uniti, che culminarono poi nei viaggi a Pechino di Kissinger e Nixon. Hanoi, forse a ragione, sostenne che i dirigenti di Pechino usavano il Vietnam come "merce di scambio" per facilitare la loro apertura verso Washington. Il progressivo inasprimento dei rapporti fra i due paesi e i due partiti "fratelli”, culminò, infine, con la breve ma sanguinosa guerra sino-vietnamita del febbraio 1979. Quale lezione trarre da queste considerazioni? I Vietnamiti combatterono ferocemente per impedire che il loro paese cadesse sotto il dominio di una potenza coloniale straniera come la Francia oppure venisse colonizzato economicamente e culturalmente dagli Stati Uniti, ma storicamente il vero e principale nemico dell'indipendenza nazionale è stato da tutti considerato la Cina: accusata di spirito di "egemonismo" territoriale, colpevole di sfruttamento attraverso i suoi usurai e mercanti nel campo dell'economia interna del Vietnam e fortemente colonialista sul piano culturale Appaiono quindi ben chiare le profonde radici di questo forte spirito nazionalista vietnamita che ha saputo attenuare, limare e parzialmente alterare anche i "sacri" principi del marxismo-leninismo e del "internazionalismo proletario" nel nome della difesa dell'identità culturale ed etnica della nazione viet. Una testimonianza non banale viene data dallo stesso Ho Chi Minh che, poco prima della sua morte avvenuta il 3 settembre 1969, dettò il proprio testamento politico dove si legge: "Sopravvivano i nostri fiumi, le nostre montagne, i nostri uomini. Dopo la vittoria costruiremo il nostro paese più bello di oggi. Quali che siano le difficoltà e le privazioni, il nostro popolo vincerà sicuramente (...)La nostra patria sarà riunificata. I nostri compatrioti del Nord e del Sud saranno riuniti sotto lo stesso tetto. Il nostro paese avrà l'insigne onore di essere una piccola nazione che con un’eroica lotta ha vinto (...) e ha apportato un degno contributo al movimento di liberazione nazionale." Sono parole che paiono evocare i proclami di Tran Hung-dao ai tempi della guerra contro i Mongoli oppure i versi scritti da Nguyen Trai per celebrare la vittoria sugli invasori Ming.