L'ascesa del Regno lao
Setthathirath
I successori di Oun-muong, mossi dall’ambizione di condurre una politica estera di prestigio, strinsero stretti legami con la dinastia cinese dei Ming accettando un rapporto di dipendenza che inevitabilmente li faceva entrare in conflitto con gli interessi del Vietnam che, in perenne lotta con il Celeste Impero, non poteva tollerare la presenza di un potenziale nemico sulla sua frontiera occidentale. I Laotiani infatti, prima tentarono una manovra di accerchiamento di Le Loi che stava combattendo nella piana del Fiume Rosso contro gli eserciti cinesi, poi, quando questi furono sconfitti e si dovettero ritirare, diedero inizio a una serie di scontri di frontiera nell’alta valle del Fiume Nero e infine, nel 1450, negoziarono un vero e proprio trattato di vassallaggio con la Cina. I Vietnamiti, che avevano mire su Xieng Khuoang cioè la “Piana delle Giare”, nel 1478 mossero guerra e giunsero a conquistare Xieng Tong ottenendo così di portare nella loro sfera di influenza il principato di Xieng Khuoang che ribattezzarono Tran Ninh. Il Lane Xang si trovava così circondato da vicini minacciosi: da Oriente premevano i Vietnamiti, da Sud cresceva la spinta espansionistica del regno thai di Ayuttahya mentre da Occidente si facevano minacciosi i Birmani. La protezione della Cina era un fatto puramente formale e non garantiva reali sicurezze così che per tutta la prima metà del XVI secolo il Laos fu percorso da venti di guerra con un continuo susseguirsi di tensioni e di spedizioni armate contro la Birmania e contro il regno di Ayuthia, con repentini cambi di alleanze, brevi tregue, sconfitte e pesanti distruzioni portate sul territorio laotiano dagli eserciti nemici. A tale grave situazione sul piano internazionale si aggiunsero le tensioni interne che sfociarono anche in autentiche ribellioni contro il potere centrale, come quelle provocate da un edittto del 1527 del re Pothisarat che interdiva il culto dei phi, gli ancestrali spiriti della natura e genii tutelari, e particolarmente accanita fu la opposizione delle tribù di montagna, profondamente legate a questa loro antichissima forma di culto animista. L’estensione territoriale, in lunghezza, del regno e la precarietà delle vie di comunicazione rendevano inoltre problematico un controllo efficace del potere centrale su tutte le provincie periferiche e, in particolare modo, su quelle meridionali. Il principato di Bassac, profittando della distanza che lo separava dalla capitale, e quello di Xieng Khouang, sfruttando la sua contiguità e il suo rapporto previlegiato con il Vietnam,  tendevano a sviluppare una politica sempre più autonomistica, anche a livello dei rapporti internazionali, mentre la stessa capitale si trovava a essere pericolosamente esposta agli attacchi dei Birmani. Nel 1559 salì però al trono Setthathirath, un re vigoroso e deciso a restaurare il potere regio su tutto il Paese e porre fine alla minacce provenienti dall’esterno. Si rese conto che la posizione geografica di Xieng Tong era troppo periferica e nel 1563 decise perciò di trasferire la capitale a Vientiane. Il potere reale si trovava così collocato al centro geografico del Paese, anche se era pericolosamente vicino ai confini con il bellicoso regno siamese di Aiuthya che in quegli anni era però pesantemente minacciato dall’espansionismo birmano e non rappresentava quindi una immediata minaccia. La città crebbe immediatamente e Setthathirath vi fece erigere palazzi, monasteri, pagode, monumenti e, primo fra tutti, il grandioso tempio-reliquiario del That Luang, autentico capolavoro della architettura religiosa laotiana. Il Phra Keo, il famoso “Buddha di smeraldo”, simbolo stesso dell’autorità del sovranno, venne da Luang Prabang solennemente trasportato nella magnifica pagoda che il re aveva fatto erigere per accoglierlo. Setthathirath aveva fatto fortificare la città ma per due volte, nel 1564 e nel 1569, venne costretto a abbandonarla, perché minacciata da presso dagli eserciti birmani che avevano invaso il Siam e, nel 1569, conquistarono e misero a sacco Ayutthaya e presero prigioniero lo stesso sovrano siamese. Solo nel 1571 Setthathirath potè dire di essere riuscito a rendere sicure le frontiere e aver ristabilito l’autorità del potere centrale su tutto il Paese ma, in quello stesso anno, morì piuttosto misteriosamente nel corso di una campagna militare contro le tribù di Kha ribelli del Sud del paese. Alla sua morte, il paese entrò in un periodo di anarchia: torbido periodo di lotte intestine e di interventi armati di eserciti stranieri che portarono a una invasione birmana che ridusse il Lane Xang in stato di vassallaggio fino al 1591. La conseguenza fu un forte indebolimento del potere centrale di cui approfittarono le sempre latenti spinte autonomistiche dei principati periferici che favorì una non meno preoccupante crisi economica. La ripresa avvenne solo con la ascesa al trono di Souligna, o Suriya, Vongsa che regnò dal 1637 al 1694, vale a dire per più di mezzo secolo, e venne chiamato il “Re Sole”, non si sa se per assimilarlo al quasi contemporaneo Luigi XIV o perché il suo nome Suriya in sanscrito significa “sole”. Ristabilì l’unità e l’ordine interno imponendosi su tutte le fazioni in lotta e amministrando il Paese con fermo rigore. Ottenne buoni risultati anche sul piano diplomatico concordando con i paesi confinanti i rispettivi limiti territoriali e pose così fine alle ormai secolari guerre nate da conflitti per le frontiere. Souligna Vongsa fu un vero autocrate che impose la sua volontà su tutto il Paese imponendosi non solo come guida politica ma anche come capo spirituale. Il culto buddhista ricevette nuovo impulso: si moltiplicarono le pagode e i monasteri e furono fatti giungere molti venerabili monaci dal Siam e dalla Cambogia. Fu questo il momento in cui le frontiere del regno vennero aperte anche al mondo occidentale e una “delegazione” di missionari-mercanti olandesi, guidata da Gerrit Van Wusthof, venne ricevuta a corte nel 1641 e fu autorizzata a stabilire rapporti commerciali. Non sappiamo quali furono i risultati che ne conseguirono ma l'arrivo di questi “strani” mercanti, con le loro singolari abitudini, impressionò sicuramente i Laotiani tanto che, violando tutte le regole dell'iconografia canonica, rappresentarono anche il Buddha seduto “all'europea” su una sedia, come si può vedere in una statua conservata al Vat Phra Keo di Vientiane. Il ricordo di questi curiosi stranieri, con i capelli lunghi, gli stivaloni e la pipa in mano, si conservò a lungo e la loro immagine resta dipinta sui battenti della porta Sud del Vat Pa Khe di Luang Prabang. Sui battenti della porta opposta sono raffigurati invece dei personaggi detti “i Veneziani” che potrebbero essere un ricordo della visita compiuta, nel 1660 secondo le fonti laotiane, dal gesuita italiano Giovanni Filippo de Marini che però non trattò affari commerciali ma si limitò a percorrere il paese con occhio attento e curioso e ne lasciò una bella e appasionata descrizione nella Relazione nuova e curiosa del Regno di Lao, che fu data alle stampe a Genova nel 1664. Nel 1694, il re Souligna Vongsa morì senza eredi lasciando il paese privo di guida, ma ciò avvenne per sua esclusiva colpa e responsabilità perché aveva fatto mettere a morte, per sospetto adulterio con una concubina, il proprio unico figlio e erede. Si scatenò allora un'aspra lotta per la successione al trono e ebbe fine l'unità nazionale e con essa terminò anche il lungo e prospero periodo di pace interna.