Phi, boun e basì
 
 Il culto del Phi Ban
Anche se le antenne paraboliche hanno fatto la loro comparsa sui tetti di foglie di palma di molti villaggi e la sedicente “cultura” della globalizzazione tenta di propagarsi dagli schermi televisivi, i Laotiani restano dei solidi montanari, ancorati alle loro tradizioni, e non c'è luogo in cui la nuova “religione” abbia potuto cancellare l'ancestrale culto del genio protettore del villaggio: il Phi Ban. Una persona, da tutti stimata e rispettata, viene incaricata di assicurare il culto e assume, così, il titolo di chao cham Phi Ban. E' probabile che costui sia anche un buon buddhista che contribuisce largamente al mantenimento dei monaci e del monastero, ma non contraddizione alcuna tra l'osservanza dei precetti buddhisti e il culto del genio che protegge tutto il territorio e tutti i suoi abitanti, monaci compresi. Il chao cham Phi Ban provvede alla cura dell'altare e, ogni mese, al quindicesimo giorno di luna crescente e al quindicesimo di luna calante si incarica di compiere il suo semplicissimo rito. Viene da solo e pulisce l'altare, poi lo orna di fiori e accende delle candele in mezzo alle quali depone le sue povere offerte: un pugno di riso saltato e acqua profumata. Tanto basta a questo genio agreste per ascoltare con orecchio benevolo la preghiera del chao cham che gli chiede di continuare a mantenere la sua protezione sul villaggio e sulla gente del villaggio che lo abita. Questo è il rito volto a tutelare tutta la comunità, ma se un abitante è afflitto da qualche pena paricolare può chiedere al chao cham di fare, per conto suo, delle ulteriori offerte al genio chiedendogli un intervento specifico. Se la richiesta viene esaudita, il beneficiario si deve sdebitare con una adeguata offerta, che può essere un pesce o un pollo oppure arrivare anche a un maiale. Queste sono le stesse offerte, a carico però di tutto il villaggio, che ritualmente si fanno anche in occasione delle due grandi celebrazioni annuali. Al plenilunio del mese di gennaio si ringrazia il genio per il raccolto appena compiuto e al plenilunio del sesto mese, agli inizi della stagione delle piogge, si invoca la sua protezione sulle persone e sugli animali che si apprestano a iniziare la nuova stagione agricola. E' ancora abbastanza diffusa la consuetudine di interdire l'ingresso nel villaggio agli estranei in occasione di queste due celebrazioni, per preservare l'intimità di questi semplici riti che a occhi esterni possono solo apparire pittoreschi mentre per la gente dei monti essi simboleggiano l'essenza stessa della loro sopravvivenza: il cibo quotidiano. Il divieto, conformemente allo spirito laotiano, non viene imposto con barrire o recinzioni ma è segnalato dai taleo, sorta di stelle fatte con lamelle di bambù intrecciato, poste ai vari punti di ingresso nel villaggio.
 
Il boun
Tutto ciò che è bene, è boun e ogni boun procura dei meriti a chi lo compie. Per ogni buon buddhista è quindi quasi un obbligo compiere delle azioni meritorie perchè queste influenzano postivamente il suo karma e nella sua successiva esistenza egli ne trarrà un beneficio. Offrire il cibo ai monaci è boun, così come fare delle offerte al monastero oppure accendere incensi davanti alla immagine del Buddha o ai piedi di un reliquiario. E' boun anche raccogliersi in meditazione sugli insegnamenti del Buddha o, meglio ancora, ritirarsi per un periodo più o meno lungo in monastero piegandosi ai rigori della regola monastica. E' boun fare offerte in occasioni delle feste che si celebrano nei monasteri in occasione delle ricorrenze segnate dal calendario buddhista e, più importante è la scadenza, maggiori sono i meriti acquisiti. Grande rilievo ha quindi il Boun Visakhaboucha che si celebra al plenilunio del mese di maggio per rammentare il giorno della nascita, della Illuminazione e della morte del Buddha. All' ottavo plenilunio cade invece il Boun Khao Pansa che segna l'inizio dell'annuale ritiro conventuale dei monaci che per tre mesi devono consacrarsi alla meditazione. Ancora più importante è il Boun Ok Phansa che segna invece la fine di questo periodo e in occasione del quale i fedeli fanno offerte ai monaci e donano loro l' abito tinta ocra. Nel singolare sincretismo religioso che pervade l'animo dei laotiani è però fonte di merito, quindi è boun, anche partecipare a celebrazioni che che traggono origine da antichi riti agrari come il Boun Bang Fai o “Festa dei razzi”, con cui si celebra l'inizio della stagione delle piogge sparando verso il cielo dei variopinti missili, oppure festeggiare con regate di piroghe il Boun Khao Salak quando si rende onore ai propri antenati defunti. In moltissimi località si celebrano dei Boun che hanno la loro origine in consuetudini particolari o in antichissime credenze ma il Boun che unisce tutti i laotiani è il Pi Mai, l' Anno Nuovo che, come in Cambogia e Thailandia, si festeggia dal 13 al 16 aprile. In questa circostanza, forse più che il desiderio di acquisire meriti per le future esistenze, la gioiosa partecipazione di massa è dettata dalla voglia di dimenticare per pochi giorni tutte le pene e le sofferenze del quotidiano e sognare la felicità nell'esistenza attuale.
 
Basì
Sono pochi i turisti che escono dal Laos senza avere annodati ai polsi dei fili di cotone bianco, e i molti che li portano, ormai sporchi e sfilacciati, sono subito solleciti a descrivere con viva partecipazione il grande fascino della cerimonia “etnica” cui hanno avuto la grande fortuna di partecipare. Purtroppo il basì, o per meglio dire il sou khouane che vuol dire “richiamo delle anime”, è, per molti, scaduto al livello di una folkloristica pratica che si organizza a beneficio dei turisti, quasi come le collane di fiori che graziose hostess in costume tradizionale offrono ai passeggeri in arrivo nei lussuosi hotel di Bangkok.
Per capire cosa è veramente il basi, bisogna sforzarsi di comprendere le ancestrali credenze laotiane secondo le quali ogni essere, ogni entità della natura, possiede un'anima, un khouane. Gli esseri umani ne possiedono ben 32, una per ogni parte o funzione del nostro corpo. Queste anime sono però un po' vagabonde e spesso lasciano il corpo cui appartengono per aggirarsi nel mondo. La loro “latitanza” può generare qualche problema sia fisico che psichico. Perciò è necessario che in alcune circostanze di particolare importanza, quando bisogna essere al meglio di se stessi, tutte le anime siano presenti e se qualcuna vaga in altri luoghi la si deve richiamare: fare il sou khouane o basì. Le occasioni sono molteplici: può essere in occasione di un matrimonio o di una nascita, può essere l'inizio di un nuovo lavoro o la partenza per un viaggio. La cerimonia può riunire tutta la famiglia, con gli amici e i conoscenti, oppure essere allargata a tutto un villaggio o un quartiere cittadino. In alcuni casi sopravvive l'antica usanza di far precedere il basì dal sacrificio di un maialino la cui testa cotta viene esposta tra candele e bottiglie di alcool di riso nella sala in cui si compie la cerimonia. Al centro su, un basso tavolino, viene posto un vassoio d'argento, il khan, su cui sono disposte le offerte, i pa khuan: sono fiori e dolciumi, uova e candele, una composizione di foglie di banano a forma di fiore di loto, alcool di riso, cibarie e, la cosa più importante, dei fili di cotone bianco. Gli invitati, per i quali la cerimonia è stata organizzata, si siedono sulle stuoie poste intorno alle offerte mentre gli altri ospiti si siedono lungo le pareti. Entra l'officiante, il mohponh, che porta sulle spalle una sciarpa di seta bianca e che, spesso, è un uomo che ha passato un lungo periodo in un monastero buddhista. Si accendono le candele e il mohponh, le mani al petto, intona una solenne cantilena, in cui si mescolano parole in lao e in pali, con cui richiama le anime che stanno errando. Gli invitati toccano con la punta delle dita il pa khuan fino a che non cessano le invocazioni: le anime sono state richiamate e gli invitati congiungono le mani in segno di ringraziamento. Ora che le anime sono ritornate bisogna trattenerle. Il mohpohn e i più anziani fra gli ospiti presenti si avvicinano in ginocchio agli invitati e ognuno prende un filo di cotone bianco e mormorando voti e parole augurali lo lega al polso di un invitato. Ognuno ripete l'atto per ognuno degli invitati. Questi fili che legano le anime non devono essere mai tagliati e debbono essere conservati almeno tre giorni, anche se alcuni sostengono che la cosa più saggia è attendere che si stacchino da soli. Le offerte poste sul vassoio sono state solo simbolicamente consumate dalle anime, i presenti allora ne approfittano sorseggiando lao lao e degustando tutte le prelibatezze offerte.