Quante vittime ?

Si sono ipotizzate molte cifre sul numero di persone morte durante i 3 anni, 8 mesi e 20 giorni del regime dei "Khmer rossi" ma non si dispone di alcun dato attendibile; si possono quindi fare solo delle stime partendo dai pochi dati demografici certi.

Il primo è quello fornito dal censimento del 1962, che registrava 5.740.000 abitanti dei quali il 53% aveva meno di 20 anni. Ipotizzando un incremento demografico, conforme alla media storica nazionale, del 3% annuo per il periodo di grande sviluppo economico di quel periodo, si potrebbe stimare la popolazione nel 1970 a 7.220.000 abitanti. 

Non si può in alcun modo sapere quanti siano stati i profughi e soprattutto i morti negli anni tra il 1970 e il 1975.

Si può solo rammentare che durante quel periodo furono sganciate sulla Cambogia 539.000 tonnellate di bombe, pari a 2.978 chili di esplosivo per ogni chilometro quadrato: quanti morti hanno provocato ?

Quante persone sono state uccise durante quei cinque anni di guerra ? Quanti sono quelli che fuggirono dal paese ?

Calcolando comunque un incremento demografico ridotto al 2% annuo e senza poter calcolare i decessi causati dagli eventi bellici, teoricamente si dovrebbe avere nel 1975 una popolazione stimata a 7.951.500 abitanti.

Se durante il periodo dei "Khmer rossi" il tasso di incremento si fosse mantenuto inalterato, la popolazione al 1979 avrebbe dovuto essere di 8.460.000 persone, aumentate poi fino a 10.943.107 nel 1992. Si tratta però di una cifra sovrastimata perché alle elezioni organizzate dal UNTAC nel 1993 risultarono iscritte alle liste elettorali solo 4.764.430 persone che potrebbero corrispondere a una popolazione di circa 9.500.000 unitá.

D'altra parte adottando per il nuovo periodo di pace e ricostruzione il tasso di incremento demografico annuo del 2,5%, pari a quello accertato nel censimento del 1998, si avrebbe dovuto avere nel 1998 una popolazione di 12.690.640 unitá. Il censimento ne ha però accertate solo 11.437.656, con un saldo teorico negativo di – 1.252.984 persone e questo potrebbe quindi essere il numero approssimativo delle vittime dei 29 anni di guerra trascorsi tra il 1970 e il 1998.

Molto più preciso è invece il calcolo di quanti furono fisicamente “eliminati” perché oppositori del regime di Kampuche Democratica, partendo dalle vittime del “Centro di Incarceramento” conosciuto come Tuol Sleng o S.21 oppure Santebal, dal nome delle forze di sicurezza che il dizionario della lingua khmer letteralmente traduce con “keeper of peace”.

Originariamente era un liceo. All’ingresso del recinto esterno che misurava 400 metri per 600 c’era un cartello con la scritta: “Rinforzate lo spirito della Rivoluzione. Diffidate della strategia e delle tattiche del nemico, per difendere il paese, il popolo e il partito”.

Sono state ritrovate 6.000 foto e la documentazione relativa a 14.000 detenuti nonché quella relativa alle 170 guardie, di cui 66 erano addette agli interrogatori e 14 alla documentazione. Tra gli altri, furono qui uccisi Hou Yuon che fu Ministro degli Interni del GRUNK dal 1970 al 1973, Hu Nim che fu Ministro dell’Informazione fino al 1978, e i segretari di partito di buona parte delle regioni in cui era suddiviso il paese: Koy Thuon della zona Nord, Nhim Ros della zona Nord-Ovest, Vorn Vet della zona speciale, Chou Chet della zona Ovest. So Phim, segretario della zona Est si sottrasse all’arresto suicidandosi.

Anche se le ossa sono andate disperse nelle fosse comuni, nessuna vittima è rimasta anonima perché di ognuna di esse è rimasto il fascicolo. Sappiamo così che nel 1975 le vittime furono 154. I numeri salgono a 2.250 nel 1976 quando Pol Pot inizia le “purghe interne”, restano quasi invariati nel 1977 con 2350 vittime che diventano poi 5.765 nel 1978 quando si scatena la repressione contro la Zona Est.

S 21 non era il solo “Centro” operante in Cambogia e facendo una stima realistica si può ritenere che complessivamente siano state circa 140/150.000 le persone arrestate, torturate e poi uccise durante “quei 3 anni, 8 mesi e 20 giorni”. Centinaia di migliaia morirono di fame, spossamento, maltrattamenti e malattie.

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Pace per quelle anime

La Cambogia è un paese profondamente buddhista e per ogni buddhista il corpo dopo la morte deve essere cremato o ricevere una adeguata forma di sepoltura.

E’ impensabile che le spoglie, le ossa, restino esposte perché in tal caso lo spirito non potrà trasmigrare in un altro essere e quei defunti sono condannati a essere “anime erranti”. Le persone uccise durante quel tremendo periodo soffrirono moltissimo ma se non si cremano i loro resti sono condannati a soffrire ancora per l’eternità.

Questo è quello che tutti i Cambogiani, tutti i monaci e davanti a loro il Grande Venerabile vanno da tempo ripetendo e chiedendo giustizia e pace per quelle anime. E’ per tutti un insulto che quelle ossa restino esposte alla curiosità dei turisti e agli obbiettivi delle loro macchine fotografiche.

Il carcere S 21 e il luogo delle esecuzioni a Choeng Ek, stupidamente ribattezzato "Killing Fields", erano all'origine luoghi in cui la gente rammentava l'orrore del passato e manteneva viva la memoria di quelle migliaia di vittime le cui foto riempivano i muri del vecchio carcere. Ora centinaia di quelle immagini sono scomparse e quei luoghi sono diventati punti di attrazione, dotati anche di souvenir shop, per turisti in cerca di macabri trofei fotografici.

Non c’è comunque da stupirsi  di questi cambiamenti se si considera che il governo cambogiano non può intervenire perché, nell'ambito degli Accordi di Pace di Parigi, la gestione di questi due luoghi fu affidata al Documentation Center of Cambodia, una Organizzazione Non Governativa emanazione della Yale University, nata da da una decisione del Congresso degli Stati Uniti, il Cambodian Genocide Justice Act del 1994, con il quale veniva finanziato un programma avente gli scopi di “memory and justice”.

Sono questi signori che irridendo alle richieste di monaci e parenti di vittime insepolte continuano a esporre queste povere ossa alla morbosa curiosità dei turisti di passaggio, sostendendo che sono “prove a carico”.